La morte del manutentore di 29 anni all’interno dello stabilimento Sevel di Atessa [LEGGI] pone l’attenzione sulla necessità di diminuire ritmi e carichi di lavoro. Lo sostengono in un comunicato Confederazione Cobas e Cobas del lavoro privato.
“Noi, non essendo autorità inquirente, non possiamo emettere sentenze a cuor leggero”, ma i Cobas ribadiscono “le lamentele sui ritmi infernali, sulle relative malattie articolari, che tanti operai Sevel lamentano”.
“Coloro che lavorano in Sevel – sostiene il sindacato di base – sanno benissimo che il successo dell’azienda non dipende dalle innovazioni tecnologiche, bensì dai ritmi infernali di lavoro dentro la fabbrica e dai turni massacranti”, sostiene il sindacato di base, che ritiene “ingiusta” quella che definisce “la pratica, estesissima, del lavoro interinale ed esternalizzato. E infatti la povera vittima altri non era che un lavoratore ‘esterno’ a Sevel”.
Confederazione Cobas e Cobas del lavoro privato tornano a criticare altri sindacati, affermando che “il loro pianto greco lo rimandiamo ai mittenti”, perché sostenere “una produttività che fa il paio con la distruttività fisica non è fare sindacato”.
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