È scaduta l’anno scorso e non ha avuto più seguito la convenzione che il Comune di Vasto aveva stipulato con una ditta del viterbese per la raccolta di indumenti usati in città. L’amministrazione, con provvedimento del 30 aprile 2014, prendeva atto del mancato raggiungimento dei risultati prefissati dalla convenzione, in quanto all’interno dei cassonetti predisposti per la raccolta veniva inserito qualunque tipo di rifiuto e molti venivano forzati. Pochi giorni prima di questa scelta, però, esattamente il 19 aprile, agli uffici comunali era arrivata anche la nota della polizia municipale che aveva svolto un’indagine sul meccanismo di raccolta effettuata. L’indagine della polizia municipale non ha fatto emergere niente di illegale, ma ha chiarito un meccanismo forse poco noto ai più. In molti, infatti, pensano che gli indumenti che si consegnavano presso questi cassonetti andassero direttamente alla Caritas, che a sua volta li ridistribuiva tra i bisognosi. A creare l’equivoco, gli adesivi dell’associazione, in bella mostra sui cassonetti.
In realtà, come rivelato dall’indagine della polizia municipale, il meccanismo era un po’ diverso: una volta raccolti, gli indumenti non andavano alla Caritas, ma nei locali nel viterbese della ditta convenzionata, che provvedeva a selezionarli e a ricondizionare quelli utilizzabili, per rivenderli all’ingrosso sul mercato dell’usato. La ditta, poi, provvedeva a corrispondere alla Caritas una somma, come a titolo di “diritti” per l’utilizzo del logo. Quindi la beneficenza non avveniva direttamente attraverso i vestiti, ma con parte del ricavato degli stessi. Un’operazione legittima, ma di cui non tutti erano a conoscenza. Diverse, infatti, le segnalazioni alla polizia municipale da parte di chi aveva pensato di donare un capo alla Caritas e poi lo aveva rivisto sul banco di un rivenditore di usato.
Ad ogni modo, dal Comune assicurano che la decisione di non riconfermare la convenzione non derivi dall’indagine svolta dalla polizia municipale che, è bene ricordarlo, non ha rilevato profili di illegalità. Era semplicemente un meccanismo che poteva trarre in inganno il cittadino, convinto di dare un indumento alla Caritas. Certo, sempre di beneficenza si tratta, visto che comunque il contributo alla Caritas arrivava, ma non sotto forma di capi di vestiario, bensì come contributo da parte della ditta che riconosceva una certa somma alla Caritas per l’utilizzo del logo.
Da parte sua, per la raccolta di questi indumenti, la ditta in questione aveva un giro d’affari, solo su Vasto, di circa 60/70mila euro all’anno. Nel 2013, infatti, sono state raccolte 170 tonnellate, a 40 centesimi al chilo. La convenzione, comunque – come detto – è ormai scaduta da diversi mesi, anche se la ditta ritarda a ritirare i cassettoni; almeno al 18 dicembre, infatti, cinque di queste strutture erano ancora sul territorio comunale, come certificano i verbali redatti dalla polizia municipale che ha dovuto provvedere a multare l’occupazione di suolo pubblico non (più) autorizzato.