Una emergenza dietro l’altra. L’euforia di bambini e ragazzi per la prima neve. L’illusione di qualche giorno in più di vacanza dopo il periodo natalizio. Svegliarsi nel bianco soffice di un paesaggio fantastico, tra il mare e la spiaggia imbiancata. Poi il proseguire, l’insistere, l’incessare di neve oltre ogni aspettativa e previsione meteo. Cominciare a comprendere che è una emergenza, dalle notizie sul web, in Tv le previsioni mai state rassicuranti. Paesi isolati, senza corrente elettrica, senza acqua. Spiegare ai figli cos’è un generatore, che in alcuni casi nelle case di montagna o lontane da centri abitati, alcune famiglie hanno acquistato per le emergenze, l’importanza di un camino per scaldarsi e fare luce.
Il tempo avverso viene annunciato, mentre il terremoto no. In Abruzzo è in agguato e sembra arrivare e colpire alle spalle proprio quando si è già in ginocchio, stanchi, esausti. La paura, la gestione delle persone per le quali dover farel’appello. Dispersi. Gli sfollati dell’ultimo terremoto che ancora non hanno una casa dove stare al caldo, tende e roulotte. Bambini,anziani, occhi spaventati e fieri quando raggiunti da un giornalista che arriva con domande poco idonee…
L’angoscia di non poter comunicare con chi rimasto fuori da ogni collegamento, mentre per assurdo, la rete internet continua a funzionare e gli appelli arrivano da li, per fare ricognizione, per inviare soccorsi. Mentre città dopo città prendono il posto nei titoli dei Tg nazionali, la luce va e viene, l’acqua scarseggia e ci si augura che per ognuno ci sia una soluzione possibile, arriva l’esercito,insieme alle ruspe ed ai mezzi tecnologici all’avanguardia per aprire varchi e sostenere chi è rimasto oltre la neve… che ormai ha perso la poesia ed ha il ghigno e la ferocia del dolore che sta arrecando.
Ad affondare il coltello nella piaga, una valanga, su un hotel in montagna. Qui vicino. 34 sono le persone ospiti. Due di loro riescono a dare l’allarme, casualmente fuori la struttura al momento del disastro. Lontani anni luce da soccorsi, contatti telefonici, e ogni altra forma di comunicazione per la quantità di neve arrivata e che continua, inesorabile. Sono metri e metri, sembrano muri. I soccorsi, i racconti, i video in diretta, la paura per quanti all’interno. Adulti, bambini, lavoratori abituali di quel posto. Tanti i mezzi di soccorso, in ogni modo, di notte nella bufera e con gli sci dove non si può arrivare senza alcun mezzo. Elicotteri e escavatori.
Le vacanze non sono finite, qualche genitore si lamenta per la mancanza di scuola, senza tener conto che ci sono vite da salvare, fiumi da controllare per esondazione, frane e smottamenti, collegamenti e energia elettrica da ripristinare.Calamità,le chiamano così.
Stiamo aspettando, come fosse Natale, una notizia buona. Che ci dica che qualcuno in quell’albergo ce l’ha fatta, è ancora vivo. Nelle nostre case sorridiamo ai figli, ai familiari stentando, perché una scossa ogni tanto arriva insieme alle notizie dei tanti dispersi, nella valanga sull’hotel e di quanti al freddo per l’ultimo terremoto. Tutto dovrebbe ricordare ai noi tutti, nessuno escluso, di lasciare tempo e spazio a chi sta lavorando senza risparmio di energie e fatiche, perché al loro posto potevamo esserci noi. In questo silenzio che diventa vuoto, luttuoso senza una ragione, come spesso è la morte, restiamo vivi. Veri. E senza lamentarsi, umani. Questo Abruzzo forte e provato è tuo, è mio.