Non c’è più il tempo per elaborare il dolore, la perdita.
Un lutto,una tragedia diventata ‘familiare’ in ogni casa. Trasmessa in Tv come urgenza.
Una catastrofe annunciata come definitiva che nei giorni ha visto rinascere attese che hanno preso posto e concretezza attraverso i ‘sopravvissuti’.
Tra loro, le vittime. Quelli che non hanno avuto la possibilità di restare.
Tanti i riflettori accesi sulla parola ‘speranza’, diventata preghiera collettiva, quella di ogni credo e ogni irragionevole ragione. Il silenzio e il frastuono, delle voci dei soccorritori, la gioia dei bambini recuperati in vita, l’aspettativa di non ascoltare mai la parola fine.
Una volta spente le ‘luci’, la vicinanza emotiva di un’intera nazione è arrivata, forte e presente, dentro un solidale abbraccio, quello di parole misurate per dolori così grandi.
Un regista pensa ad un set cinematografico, una fiction. Pietro Valsecchi e la Taodue Film si attivano per riprodurre ‘fedelmente’ una tragedia immensa. Senza pensare che è trascorso così poco tempo. Troppo poco tempo. Non ne abbiamo più diritto, per ‘digerire, smaltire, lenire, elaborare, e imparare a convivere con il dolore’. Non abbiamo più diritto a reinventarci la vita, a fare a meno del colore delle persone care, del loro profumo e del suono della loro voce.
Parte così una campagna di raccolta firme su www.change.org , una petizione per fermare questa idea malsana e macabra, priva di senso e di rispetto, asettica come il disinfettante sulle superfici, che commette l’errore di dimenticare che siamo PERSONE e che l’unico modo per sopravvivere è aspettare ogni giorno, ‘domani’.
Se è vero come afferma Valsecchi che avvenimenti tragici sono stati rappresentati per restituire ‘la memoria e diffondere il coraggio ‘ è anche vero che fino ai nostri giorni questo equilibrio è stato possibile solo con grande distanza di tempi.
Da questo Abruzzo a riflettori spenti, la richiesta di lasciare che il buio, faccia spazio alla penombra, ad un filo di luce, ad un germoglio chiamato speranza che possa rinascere dentro chi ha perso. Perchè la vita, non è una fiction.