“Lo faccio per mio figlio” sembra essere la condizione sine qua non, per essere ‘bravi genitori’. “Mio figlio deve avere ciò che non ho avuto io” una frase di qualche tempo fa, mutata nell’accontentarli, a tutti i costi. Anche senza senso, senza una ragione. La generazione dei fenomeni iniziata tempo fa, vede crescere la rincorsa all’atteggiamento snob e alla competizione all’ultimo respiro. Fino alle crisi di ansia da prestazione per gli ‘under 13’.
A premere sull’acceleratore.
Quello che dovrebbe essere il connubio in ‘rete’: scuole, insegnanti e genitori a volte non trova spazio, anzi. La LIM a scuola per esempio. Se un ragazzino frequenta una classe che non ne è provvista, si avvia la ‘colletta dei genitori’ affinché a loro, non manchi nulla.
La priorità è premere, insistere e averla anche se non sarà utilizzata. “Lo faccio per mio figlio” risuona nei corridoi. Innegabile l’innovazione didattica attraverso la LIM, ma gli studenti dovrebbero conoscerne l’uso e ancor più saperla usare i professori che quest’anno con la ‘buona scuola’ hanno ricevuto contributi significativi in termini di denaro per acquisto e formazione nella ancora tanto ignorata ‘informatica’ e formazione.
Bisognerebbe insegnare allo stesso tempo che attraverso i libri si trovano fonti e dettagli e che un lavoro si può approfondire in una biblioteca e nella consultazione del vocabolario.
Un mezzo arido, freddo, meccanico , utile e al passo con i tempi, urlano gruppi di genitori se i loro figli non avranno gli ausilii che desiderano per non sentirsi ‘meno’ di altri.
La realtà è che “lo faccio per mio figlio” è un modus operandi per mettere a tacere le coscienze, non dire i “no che aiutano a crescere” e ogni giorno adoperarsi per conquistare un figlio attraverso beni di consumo.
La frase ‘un giorno tutto questo sarà tuo’ ha un panorama spettrale. Poi ci sono le mamme e i papà ansiogeni, onnipresenti che riescono ad inviare su whatsApp la versione tradotta in tempo reale per il compito in classe. Che dire?
Viene da chiedersi ‘per chi suona la campana’? .
Sapranno mai chi è Hemingway, immaginare i locali cubani, cogliere sapori e odori dei posti de “Il vecchio e il mare”? Si immedesimeranno nelle emozioni di Renzo e Lucia, nelle persecuzioni e nella paura dei poveri mortali ? Sapranno essere di sostegno a loro stessi o a nessuno se non avranno imparato a sostituire l’essere con l’avere ? Eppure, Montessori, Rousseau, Herbart, Vygotskij, Piaget con le loro linee guida adottate e sperimentate potrebbero farci buona compagnia.Non guasterebbe dentro tutta questa tecnologia e le maratone dei numeri primi ritrovare l’umanesimo, non solo come materia ma come modus operandi.