Il 28 aprile hanno fatto il giro del mondo le immagini del varo dell’ultima campata del ponte di Genova. A meno di due anni dal crollo del ponte Morandi, l’opera disegnata da Renzo Piano segna un passo importante con i lavori che procedono spediti verso il completamento. Della squadra Salini Impregilo, leader mondiale nella costruzione di grandi opere, fa parte anche Saverio D’Ermilio, 34enne ingegnere di Vasto, che, dopo diverse esperienze in giro per il mondo, è stato chiamato a far parte del progetto “PerGenova”.
Cosa rappresenta nella sua vita professionale essere parte di questo progetto?
Per me e per tutta la squadra “PerGenova” è un po’ una chiamata alle armi. Io sono arrivato qui a marzo dello scorso anno, prima ero in Namibia. Tutti i componenti della squadra sono state presi da altri progetti per le loro capacità ma soprattutto per la motivazione nel dare il loro contributo. Sappiamo quanto questo progetto sia importante per Genova ma poi stiamo vedendo che siamo riusciti a creare un modello di lavoro importante per tutta l’Italia. Non è solo un lavoro ma una missione.
Quello di Genova è un cantiere che va avanti a tempi di record in un paese in cui, molto spesso, le realizzazioni procedono lentamente. È il risultato di una vera collaborazione tra istituzioni e impresa?
Sia chiaro, non è che qui sono stati bypassati degli iter o dei processi. C’è stata una vera collaborazione che ha portato a seguire tutti gli step. Io mi occupo di sicurezza, la Salini Impregilo ha degli standard che vanno ben oltre i requisiti normativi. In questo cantiere uno dei rischi più grandi è rappresentato dal lavoro in quota. La legge prevede che la persona abbia dei dispositivi di protezione individuale e sia addestrata nel saperli usare. Noi abbiamo potenziato queste attività con una squadra di specialisti accanto ai lavoratori per verificarne l’effettiva capacità, dando anche un supporto laddove sia necessario, insegnando l’uso di nuovi sistemi di protezione e dispositivi anti-caduta. Questo si riflette sulle attività, sugli iter autorizzativi e sul lavoro delle tante società che hanno collaborato insieme. Tutto, alla fine, si riassume in un nuovo modello che sta funzionando.
Come vi ha condizionato l’emergenza Coronavirus?
Quando il Coronavirus è arrivato in Italia abbiamo dovuto capire che impatto avrebbe potuto avere e come gestirlo. Abbiamo fatto un’analisi e una mappatura del cantiere, di tutte le lavorazioni che facevamo. Salini Impregilo ha predisposto una task force che ha condiviso la materia ed elaborato un protocollo in tutti i cantieri del mondo, creando uno staff che, in tempi brevissimi, potesse organizzare le modalità per poter continuare a lavorare dando sicurezza ai lavoratori. Il cantiere di Genova non si è mai fermato tenendo ben presente al primo posto la serenità delle persone che vi lavorano e la loro serenità in un momento complesso per il paese. Di fatto, qui, è come se fossimo partiti direttamente dalla fase 2. Abbiamo adottato il nostro protocollo di sicurezza sin da subito, con le protezioni individuali, il controllo della temperatura. Ci siamo riorganizzati anche per questioni quotidiane come il trasporto dei lavoratori, non ci si poteva più muovere con nove operai su un furgoncino. Queste misure hanno avuto un impatto iniziale e hanno portato a una riorganizzazione ma non ci siamo mai fermati.
Il ponte di Genova è un’opera strategica ma anche fortemente simbolica. Come vivi il suo lavoro, confrontandoti ogni giorno con chi vive in quella terra?
Vedere, ogni sera, il ponte illuminato con il tricolore è emozionante e un orgoglio. Quello che facciamo va oltre il lavoro. Soprattutto in questa fase Covid ci sono state persone, me compreso, che non sono rientrate a casa per mesi senza poter vedere le famiglie. Non solo per le limitazioni che c’erano ma, soprattutto, per evitare ogni possibile rischio. Questo lo si fa e si è in grado di sostenerlo perché l’obiettivo che hai va ben oltre l’essere un lavoro ma hai la consapevolezza che si tratta di un progetto importante per Genova e per tutta l’Italia.
Questa opera rappresenta indubbiamente un caso di eccellenza in Italia. È un modello replicabile nel nostro Paese?
Oggi siamo in un’Italia e in un mondo fermi. Ed è sicuramente da capire come sia stato possibile a Genova non fermarsi mai. Se ne parla come un modello e c’è sicuramente la fierezza di chi vive il cantiere di essere stati coloro che hanno dimostrato di potercela fare. Non è semplicemente un progetto ma è diventato una realtà ed è sicuramente replicabile. C’è il talento delle persone, noi tutti veniamo da grandi opere e abbiamo portato la nostra esperienza, che viene messo a servizio del gruppo, la squadra della società. Una squadra funziona bene quando c’è un buon allenatore. Bisogna sempre avere dei buoni giocatori con una società dietro che li fa funzionare bene.