Quando entri nella sua bottega a stento lo intravedi, nascosto com’è da una montagna di scarpe. “Le portano ad aggiustare e poi non vengono a ritirarle. E’ così da anni”. Alberico Rossi, classe 1936 “il conto degli anni fatelo voi”, ci dice sorridente, da 30 anni è il calzolaio di via Santa Lucia. Invadiamo il suo spazio, io e Costanzo, ed immediatamente esce fuori una sorpresa. “Io non sono di Vasto, sono nato a Montefalcone”. Costanzo smette di fare le foto e, facendo ricorso alla sue origini di Castelmauro (a pochi chilometri di distanza), se ne esce con un’espressione dialettale che solo loro due riescono a capire. Ed ecco che dal farci raccontare la storia di Alberico si passa ad un discorso tra loro due mentre ricordano personaggi di quella zona del Molise al confine con l’Abruzzo. Ma Alberico deve lavorare, anche perché mentre siamo lì arrivano i clienti per chiedere quando sarà pronto il lavoro. “Il tempo che ci vuole”, risponde calmo lui.
Partito dal paese negli anni 60, è stato prima in Germania. “Non era come oggi, che tutti possono andare dove vogliono per lavorare. Ci volevano i permessi, sennò ti rimandavano indietro. Io ho lavorato in alcune fabbriche di pellame”. Dopo qualche altra tappa della sua vita è finito a Vasto. “Avevo bisogno di lavorare e così ho messo in pratica quello che sapevo fare: il ciabattino”, dice ricordando come veniva chiamato un tempo questo mestiere. Mentre parliamo c’è anche qualche altro storico abitante di questa zona, che racconta: “Su via Santa Lucia una volta ci abitavano 200 famiglie. Oggi sono rimaste poche”. E’ il segno dei tempi che cambiano.
Dalla porta entra un ragazzo. E’ Marco, il nipote di Alberico. Ha 21 anni e da qualche tempo viene a lavorare qui con il nonno. E’ molto silenzioso, mentre si aggira tra i banconi e il retrobottega. Si confronta con il nonno su come portare avanti dei lavori e si sente un po’ in imbarazzo davanti alla macchina fotografica. “Ho fatto l’industriale. Qualche volta da piccolo venivo qui ad aiutare mio nonno”. Ora, un po’ per la crisi di lavoro che affligge tanti giovani, un po’ perché c’è questa attività da portare avanti, ha deciso di lavorare qui. “Mi piace questo lavoro”, dice mentre aggiusta una borsa. Chiediamo ad Alberico qualcosa sul nipote. E lui risponde: “Quando ha voglia è bravo”. E poi di nuovo a Marco: “Quando il nonno andrà in pensione resterai a lavorare qui?”. Ma qui Alberico, tra un tacco e una suola, alza gli occhi e dice: “Io in pensione ci vado tutte le sere, quando torno a casa. Solo che poi la mattina ritorno al lavoro”. Per la serie, “finchè ci sono continuerò a varcare questa soglia”.
Quello del calzolaio è un mestiere che va sparendo. Ce ne sono pochi in città. “Oggi si comprano scarpe di bassa qualità. Vanno tutti dai cinesi. E quando si rompono preferiscono ricomprarle piuttosto che farle riparare”, dice malinconicamente. Costanzo continua ad immortalare, fino a quando non chiede ad Alberico di fermarsi per fotografare le sue mani da vicino. “Ma sono sporche”. C’è la colla e ci sono i segni del tempo. Mani che raccontano quasi 70 anni di lavoro. Quelle di Marco non sono ancora così, ma forse un giorno lo diventeranno.
Foto – Un mestiere che si tramanda di nonno in nipote
foto di Costanzo D’Angelo – Occhi Magico