È stato don Gianfranco Travaglini ieri pomeriggio a celebrare la santa messa in onore della Virgo Fidelis, patrona dei carabinieri, presso la cattedrale di San Giuseppe. Per l’occasione, rappresentanze delle autorità militari e civili al completo, insieme alle associazioni combattentistiche a tanti cittadini per il momento di preghiera e raccoglimento.
Al termine della celebrazione religiosa, il maresciallo a.s. ups. Giuseppe Russo in forze alla Compagnia di Vasto ha recitato la preghiera della Virgo Fidelis, mentre il coro subito dopo ha intonato l’inno.
È stato poi il maggiore Giancarlo Vitiello, comandante della Compagnia di Vasto, a ricordare l’importanza delle celebrazioni di ieri, fissate alla data del 21 novembre in ricordo della battaglia di Culqualber, durante la Seconda guerra mondiale. Lo scenario, quello dell’Africa Orientale, dove i carabinieri del 1° Gruppo mobilitato sacrificarono la vita, resistendo in pochi contro un nemico superiore per mezzi e numero. “Un esempio per le nuove generazioni – ha sottolineato il maggiore Vitiello – che nel ricordo di quegli eroi possono rafforzare il senso del dovere, della lealtà e della fedeltà”. Una “sentita carezza di riconoscenza”, poi, il comandante della Compagnia di Vasto l’ha voluta dedicare alle vedove e agli orfani dei carabinieri, sostenuti dall’Onaomac (Opera Nazionale Assistenza Orfani Militari Arma Carabinieri), di cui ha successivamente parlato il luogotenente Adriano Barattucci, presidente della sezione vastese dell’Associazione Nazionale Carabinieri.
Al termine degli interventi, la consegna delle tessere di “Socio simpatizzante” a due nuovi associati: il cavalier Giuseppe Catania e l’avvocato Pierpaolo Andreoni, i quali hanno tenuto a ringraziare l’Associazione Nazionale Carabinieri per l’onore ricevuto.
La battaglia di Culqualber
“Erano rimasti in sei o sette, erano laceri e sanguinanti e si erano raggruppati uno contro le spalle dell’altro e con le loro baionette avevano creato una specie di cerchio d’acciaio. ‘Arrendetevi!’, urlai con quanta voce avevo in corpo, sovrastando per un attimo il rumore del combattimento. ‘Arrendetevi!’. Le mie parole, che speravo fossero seguite da un segno di resa da parte di quei carabinieri che si stavano battendo così eroicamente fino allo spasimo, ebbero invece come risposta il loro grido di guerra: ‘Savoia!’. E ancora una volta, inconcepibile a pensarsi e meraviglioso a vedersi, quei sei uomini rimasti soli, senza alcuna speranza e possibilità, si slanciarono contro di noi… ‘Arrendetevi!’, gridai ancora una volta. Ma tutto fu inutile, continuarono a venire avanti… Esitai ancora qualche attimo; non volevo dare l’ordine che avrei dovuto… I miei soldati avevano messo il ginocchio a terra ed avevano puntato i fucili. Anche a loro tremavano le mani in attesa dell’ordine che sarebbe venuto. ‘Arrendetevi!’, gridai ancora una volta. Ma tutto fu inutile; continuavano a venire avanti e forse non ci vedevano nemmeno. ‘Fuoco!’. Appena la nuvola di polvere causata dagli spari si levò, davanti a noi non c’era più nessuno. Tutti morti…”.
Leonard Mallory, capitano dell’esercito britannico.