Un anno di liceo classico scambiato con nove mesi di vita negli Stati Uniti. Giorgio Aganippe, studente vastese del Pantini-Pudente, ha vissuto un’esperienza di studio e di vita che difficilmente dimenticherà. Rientrato in Italia da qualche settimana appena ci ha raccontato com’è andata.
L’esperienza di andare a studiare fuori dall’Italia durante le scuole superiori è una scelta e che negli ultimi anni è fatta da molti giovani. Quando hai deciso di partire?
Negli anni scorsi avevo già vissuto l’esperienza della vacanza-studio negli Stati Uniti, a New York e Los Angelese e devo dire che mi è piaciuta molto più l’America rispetto ai classici viaggi a Cambridge o in generale in Inghilterra. Poi, quando tramite la scuola ho avuto la possibilità di fare quest’esperienza un po’ più lunga delle solite due settimane, ho deciso di partire. Dopo aver scelto gli USA e aver sostenuto un test d’ingresso ho ricevuto la mia destinazione.
Con un’esperienza vissuta durante il ciclo di studi si guadagna tanto dal punto di vista della lingua e dell’esperienza, però perdere il quarto superiore è un bel rischio.
È vero, perché a meno che non porti tutti i libri è difficile restare al passo con il programma oltre a rischiare di perdere l’anno. Infatti a settembre ho gli esami integrativi per il liceo classico, dovrò fare lo scritto di greco e di latino e sostenere l’orale di tutte le materie.
La scelta della città avviene attraverso la scuola o hai potuto sceglierla tu?
Innanzitutto dipende dalla disponibilità delle scuole ad avere degli Exchange students. Attraverso il test d’ingresso si viene indirizzati in una scuola e, di conseguenza, in una città. Io sono stato nella Woodcreek High School, a Roseville, in California, a due ore da San Francisco, in una posizione abbastanza centrale e vicino al mare. È una bella città, grande all’incirca quanto Pescara.
Una volta arrivato in America, sei stato accolto da una famiglia: com’è stato l’impatto di entrare in casa di una famiglia fin da allora sconosciuta nella quale sapevi di dover passare nove mesi?
Non ho subito realizzato che avrei dovuto lasciare la mia famiglia per nove mesi, anche perché per un ragazzo di diciassette anni non è facile vivere senza genitori. Ma non è stato poi così male, poiché la famiglia che ho trovato è stata grandiosa. Mi hanno accolto benissimo, non mi hanno fatto mancare nulla, anzi addirittura mi hanno viziato. Mi sono sentito subito a mio agio perchè John Sailor, il capofamiglia, mi ha subito dato confidenza, la moglie, Cathy, è una signora dai comportamenti molto simili a quelli di mia madre. Peter, il figlio più piccolo della coppia, è l’unico rimasto ancora con i genitori. È stato lui, prima di partire, a regalarmi una bandiera a stelle strisce, insegnandomi a piegarla come fanno i militari. La famiglia ha impostato il rapporto come tra genitori e figlio, Peter si è mostrato come un fratello e questo mi ha fatto sentire tranquillo e a casa.
Hai trovato altri studenti italiani a scuola?
Come accade in tutta l’America c’erano studenti di tutto il mondo, ad esempio cinesi, giapponesi, filippini e spagnoli ma ero io l’unico italiano che aveva fatto questo trasferimento temporaneo.
Com’è il mondo scolastico americano, è molto diverso da quello italiano?
È totalmente diverso, a partire dagli orari, dal modo in cui si viene valutati, fino agli edifici. Lì i ragazzi passano, oltre alle ore di lezione, anche il loro tempo libero, cosa che in Italia non accade. I professori sembrano quasi secondi genitori, lo sport si pratica all’interno della scuola. C’è anche un tempo di mezz’ora a metà mattinata chiamato “intervenction”, per cominciare ad organizzare lo studio per il pomeriggio. A pranzo ci si può iscrivere ai vari club impegnati nei diversi sport. Io mi sono iscritto al club di calcio e quello di nuoto, successivamente ho praticato anche il football. Insomma, la vita dei ragazzi americani gira intorno alla scuola.
Dal punto di vista dell’organizzazione, cosa cambia?
La scuola superiore in USA dura quattro anni: il primo anno viene chiamato Freshman, il secondo Sophomore, il terzo Junior e il quarto Senior. Stando lì nove mesi ho dovuto fare Juniors e Seniors contemporaneamente, così da potermi diplomare. Anche alcune delle materie erano obbligatorie. È stata una bellissima esperienza che mi è servita a sviluppare due punti di vista per quanto riguarda il mondo della scuola. Oggi, quando entro in una scuol,a ci entro sia come uno studente italiano che come uno americano. L’America è più forte nell’organizzazione scolastica, l’Italia mi ha dato il metodo di studio. Quindi, bisogna tirare fuori il meglio da ciascuna delle due.
Quali sono i pregi e i difetti di una scuola classica, come quella che frequenti, che è appunto il Liceo Classico, e di una scuola molto moderna, come quella americana, ora che hai avuto la possibilità di frequentarle entrambe?
I pregi del Liceo Classico sono il metodo di studio e la fame di sapere attraverso un ritmo di studio costante e impegnativo, l’unico difetto è la necessità di studiare molto per ottenere dei buoni risultati. I pregi della scuola americana sono la capacità di farti sviluppare un’apertura mentale, a partire dal frequentare dei compagni di ogni nazionalità, grazie ai quali conosci nuove culture e nuovi mondi. Il difetto è che il sistema è troppo basato solo sulla scuola. Inoltre credo che prolungare un altro anno oltre ai normali quattro sarebbe meglio, per favorire la maturità degli studenti, ancora troppo piccoli per avere già un diploma.
Hai vissuto anche la cerimonia del diploma: è stato emozionante?
E’ stato molto emozionante. Si è svolta sull’enorme campo da football della scuola, dietro di noi delle gradinate e intorno la pista di atletica. Abbiamo camminato lungo metà della pista e siamo andati verso una parte del campo dove erano seduti i nostri familiari. Poi ci siamo seduti, le ragazze da un lato, i ragazzi dall’altro. Sul palco c’erano la bandiera della California e degli Stati Uniti, è stato cantato l’inno nazionale. Siamo stati chiamati due per volta sul palco dove il preside e due manager della scuola ci hanno consegnato il diploma. Alla fine l’immancabile lancio dei cappelli.
Hai avuto anche la possibilità di girare per il Paese. Cosa ti è piaciuto di più?
Sono stato a Disneyland, vicino Los Angeles, dove ho potuto conoscere la storia di Walt Disney. Mi ha colpito molto come da un suo sogno sia riuscito a realizzare grandi cose. Poi sono andato in una contea a nord della California, a Humboldt, dove Nathan, uno dei figli di Cathy e John, ha una birreria. Questo posto mi è piaciuto tantissimo perché rimanda alla pace, al tipico paesino italiano circondato dalla natura. La cosa che mi ha colpito sono la vastità dei parchi naturali.
Nei mesi in cui eri oltreoceano avevi nostalgia di casa e della tua famiglia?
Nostalgia quasi per nulla, anche perché grazie a Skype sono rimasto in contatto con la mia famiglia. Vedere i miei fratelli Fabio e Luca è stato a dire il vero impressionante: sono diventati due ometti. Fabio, il più piccolino, ha imparato a leggere, cosa che non sapeva fare quando sono partito. Sicuramente la tecnologia mi ha aiutato molto a sopportare la lontananza.
Prima della tua partenza hai ricevuto un regalo speciale dalla famiglia Sailor.
Mi hanno donato un album con tutte le foto dei miei nove mesi trascorsi con loro. È stato uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto, perché aldilà delle cose materiali, avere dei ricordi vivi è qualcosa di speciale. Quell’album è il tramite tra la mia esperienza e questi bellissimi ricordi. E’ stato un regalo inaspettato e ogni volta che lo sfoglio e guardo una foto sembra come se stessi vivendo ancora quel momento.
Si prospetta un’estate di studio?
Sì, poiché come ho già detto a settembre avrò gli esami integrativi e voglio dimostrare ai miei professori che nonostante la mia assenza da scuola sono pronto a sostenerli.
Consiglieresti questa tua esperienza ad altri ragazzi?
Devo dire che sono stato fortunato, perché stando in California ho trovato il sole, una bella famiglia e una bella scuola. Altri ragazzi non ce l’hanno fatta e sono tornati prima del previsto a casa perché sono andati in posti cupi, dove il clima non era proprio dei migliori e magari hanno trovato una famiglia non troppo accogliente. Sinceramente, dal punto di vista didattico, culturale e linguistico ritengo che è un’esperienza che bisogna fare: secondo me tutti gli studenti italiani dovrebbero avere la possibilità di poterci andare perché è un qualcosa di fantastico. Devo dire che anche il carattere influenza molto questo tipo di esperienza, nel mio caso ritengo di essere una persona molto aperta e dinamica, che sa adattarsi a ogni tipo di situazione. Ho sempre descritto la mia voglia di apprendere come fame di cultura: io credo che la curiosità sia il mezzo migliore per imparare. Detto questo, io ripartirei subito!
Se dovessi cristallizzare questi mesi in una sola immagine, quale sarebbe?
Una foto che abbiamo fatto durante il processo della “graduation”, dove c’è la mia famiglia italiana insieme alla famiglia che mi ha ospitato in America, alcuni amici, nel campo da football dove facevo sport e quindi a scuola. Diciamo che questa foto rappresenta a pieno la mia esperienza: è stata scattata dove ho fatto sport, con le persone che mi hanno supportato sia dal punto di vista emotivo sia da quello didattico, grazie alle quali ho appreso molto bene la lingua inglese.