Non puoi non passare davanti alla sua bottega almeno qualche centinaio di volte nella tua vita se vivi a Vasto. È così anche per me, qualche volta mi è capitato di entrare per comprare qualcosa e, vedendo spesso il titolare sull’uscio, mi ero fatto l’idea di una persona taciturna e molto riservata. Ne conoscevo il nome, per via dei suoi intrecci con il mondo della musica e quello sportivo, con i mitici “Scarpasciudd”, ma oltre qualche saluto di cortesia non ero mai andato. Poi, però, nello scegliere cosa raccontare questa domenica, un amico mi ha detto: “Ma non puoi non andare da Vittorio!”. Consiglio accolto e così, in un giovedì pomeriggio in cui piazza Rossetti è semi-deserta, con Costanzo siamo pronti ad “entrare in azione”. L’insegna “che deve essere aggiornata” sopra la porta è una chiara indicazione della storia che accompagna la ferramenta Biagio Forte che, chissà perchè, tanti pensano sia un soprannome. E invece è il nome del nonno di Vittorio Patriarchi, attuale gestore dell’attività commerciale, che inizia la sua avventura a cavallo tra le due guerre. L’idea dell’uomo taciturno svanisce dopo i saluti ed inizia un lungo racconto che è interessante sin dal suo inizio. “Mio nonno Biagio Forte, dopo 7 anni di militare durante la prima guerra mondiale, lavorò per molti anni come ebanista. A quei tempi i mobili per l’arredamento domestico li facevano i falegnami. A Vasto ce n’erano decine, tutti molto bravi. E anche mio nonno lo era. Figuratevi che quando Peppino Forte andò in Australia, una signora, sentendo il suo cognome, lo portò a casa sua per mostrargli dei mobili che erano stati realizzati da mio nonno Biagio e poi portati fino in Australia e ancora oggi in ottimo stato”.
Dalla falegnameria al negozio di ferramenta il passo fu abbastanza breve. “Lui pensò fosse opportuno, invece che dover stare sempre a cercare materiale, averlo con sè e così decise di aprire la bottega in una piazza Rossetti che quasi non esisteva”. Il monumento era stato inaugurato nel 1926. Biagio Forte, che tra l’altro aveva realizzato tutte le finestre dei palazzi scolastici, nel 1931, aprì la sua ferramenta. “Allora era un luogo strategico, perchè questa di fatto era la porta della città. Non c’erano tutte le costruzioni come oggi. Chi arrivava dall’entroterra passava da qui”. Quella di Biagio Forte fu una delle prime attività di questo genere in quella città che all’epoca si chiamava Istonio. “Come discendenti oggi sono rimaste la falegnameria D’Adamo e i D’Annunzio che sono in via Madonna dell’Asilo”. Vittorio ci mostra le copie di alcune fatture d’epoca. La cosa che mi salta subito agli occhi sono le parole educate dello stampato e quelle vergate a mano in un’attenta calligrafia. “Erano proprio altri tempi”, mi dice lui con un sospiro. Mentre Costanzo si sposta da una parte all’altra per filtrare l’effetto creato dai raggi di sole che entrano nella ferramenta, Vittorio continua con il racconto. Forte è un cognome vastese, Patriarchi proprio no. “Mio nonno, che non ho conosciuto, arrivò qui dalla Toscana perchè era fattore per un signorotto a Montebello (lungo l’attuale ss16) e aveva il compito di riscuotere il pedaggio lungo il tratturo. Mio padre conobbe casualmente mia madre, che lavorava qui nell’attività di famiglia. Io sono un vastese a tutti gli effetti”. C’è da credergli, perchè basta interrogarlo sui pronomi, i proverbi e i modi di dire, per capire come abbia respirato fin da bambino aria di vastesità. Del resto e nato e continua ad abitare nel centro storico. Come il nonno anche suo padre fece la carriera militare, come ufficiale di Marina. “Anni terribili. Quell’8 settembre non si sapeva neanche se fosse vivo o morto. Poi riuscì a tornare da Brindisi a Vasto. Dopo la fine della guerra restò in servizio un altro paio d’anni. Poi, dopo il congedo, venne a lavorare qui”. E così ha portato avanti la ferramenta del suocero, dove poi Vittorio, sin da bambino, ha iniziato a giocare tra attrezzi e bulloni. “Questo è stato il luogo dei primi giochi. All’epoca c’erano come apprendisti Francesco Paolo Molino e il fratello Femo. Quante ne combinavamo…”. Lui, dopo il diploma, aveva iniziato a lavorare come geometra. “Ma venivo sempre qui, soprattutto quando mio padre per qualche problema di salute non riusciva a venire in negozio”. Poi, nel momento dell’improvvisa scomparsa del genitore, una scelta “di cuore e responsabilità. Ho deciso di portare avanti io la ferramenta Biagio Forte”.
E così, dal 1982 ad oggi, ogni mattina è lui ad aprire la bottega di piazza Rossetti. Un centro storico che Vittorio ha visto cambiare e che lo fa sospirare amaramente. “Questa posizione nel corso degli anni è sempre stata strategica. Qui prima c’era il terminal degli autobus extraurbani. Era una prassi che gli artigiani dell’entroterra arrivassero, lasciassero il biglietto con l’ordine qui e andassero a fare altri giri, per poi ripassare, caricare tutto sulla corriera e tornare in paese. Oggi, invece la piazza è chiusa”, nonostante la quasi totalità di commercianti ed esercenti del centro avesse chiesto qualcosa di diverso. Le parole di Vittorio, fino a questo momento fluite come dolci ricordi della sua storia di famiglia, si fanno più intense. Anche perchè quello che dice esprime le sensazioni contrastanti di chi continua a credere nel centro storico. “Forse è anacronistico avere un’attività come la mia oggi qui, che ci sono i grandi negozi o che si sono spostati tutti nei quartieri residenziali. Però sono convinto che ci sia bisogno anche di questo coraggio, perchè quel centro commerciale naturale che dovrebbe essere il centro possa offrire tutte le tipologie merceologiche”. Il negozio in piazza Rossetti è stato ed è un punto di vista privilegiato sui cambiamenti della città. L’evidenza sono i clienti che entrano nell’oretta che trascorriamo con lui: tre stranieri. “Oggi sono gli stranieri a far tornare in vita l’artigianato a livello locale, che altrimenti sarebbe sparito. Il discorso sugli stranieri è complesso, però credo che basterebbero pochi accorgimenti per poter evitare tanti problemi”. E dal suo punto di vista, nei suoi 55 anni di vita, negli oltre 30 nella bottega, Vittorio ha visto un centro che è diventato “come una bomboniera senza confetti. Se alla bomboniera ci togli i confetti cosa ne resta? Puoi avere il centro storico più bello del mondo, ma se non ci sono le persone è morto”. Lui, però, continua a crederci, “certamente fino a quando l’attività funzionerà e permetterà alla mia famiglia di vivere dignitosamente”. Una cosa appare certa. La tradizione familiare di Biagio Forte terminerà con lui, visto che sua figlia “non seguirà le mie orme, ma sono stato anche io a chiederglielo”. Però il desiderio è quello di arrivare a tagliare il traguardo dei 100 anni di attività, dal 1931 al 2031. “Sarebbe bello come omaggio a mio nonno e mio padre”.
Gli 83 anni di storia di questo luogo emergono anche dall’arredamento. “Sapete – ci dice scherzando ma non troppo – uno dei motivi per cui non mi sono trasferito è perchè non si possono spostare i mobili. Mio nonno costruì questi scaffali enormi direttamente qui dentro e non passerebbero dalla porta!”. E, tra uno scaffale e l’altro, spuntano i segni di quelle che Vittorio chiama “le mie due stampelle, che mi sostengono nel lavoro quotidiano e senza cui non potrei vivere: il calcio e la musica”. La musica porta indietro negli anni, alle band giovanili, che oggi trovano sintesi nella targa ricordo del Memorial Angelo Canelli, il medico e musicista prematuramente scomparso e suo amico e compagno di band nei mitici “Attack”. E poi ci sono gli Scarpasciudd. “È una sorta di vivaio al contrario. Le società hanno i ragazzi da far crescere e portare in prima squadra. Noi, invece, raccogliamo tutti quelli che sono fuori per limiti anagrafici. Ormai sono 16 anni che organizzo questo torneo, sempre con uno spirito di amicizia, non si vince niente e alla fine si va a mangiare tutti insieme. Certo, l’agonismo in campo non manca, ma ci divertiamo”. Come capitato in tanti altri incontri, potremmo stare qui ore a chiacchierare con Vittorio, certi di raccogliere aneddoti tramandati dal padre e dal nonno, per scoprire qualcosa della storia vastese che, inevitabilmente, è passata da piazza Rossetti, con i Forte e poi i Patriarchi, ad osservare ciò che accadeva davanti alla loro vetrina. Una vetrina che, vista la sua posizione, in quel palazzo prima di proprietà della famiglia Ricci, oggi della parrocchia di Santa Maria, è finita come sfondo in centinaia di fotografie scattate per scelta o per caso in piazza Rossetti e che sono una testimonianza di presenza costante, da 83 anni a questa parte. Una di quelle foto ce la mostra vittorio. “Una signora venne a portarmela. L’aveva scattata anni prima e c’era il nostro negozio sullo sfondo. Ogni tanto arriva qualche regalo inaspettato. Come la fattura d’epoca che un signore milanese, in vacanza a Vasto, mi ha portato: l’aveva trovata nel cassetto di una scrivania che aveva acquistato a Milano. Chissà come ci è finita”.
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo
Foto – Vittorio Patriarchi – Biagio Forte
Foto di Costanzo D’Angelo