Di feste patronali ne ha vissute davvero tante con i suoi 90 anni di età davvero ben portati. Ma, quando abbiamo saputo che aveva un’aneddoto legato proprio alla processione di San Michele, non abbiamo potuto fare a meno di chiedere a Nicola Armeno, classe 1922, di incontrarlo per ascoltare la sua “storia della domenica”. Costanzo va a prenderlo a casa, per accompagnarlo in quella che è stata per più di 50 anni la sua bottega. E in casa Armeno non può fare a meno di immortalare mastro Nicola con la moglie, 60 anni di matrimonio vissuti con il sorriso e con l’affetto di due figli, uno a Vasto, l’altro a Roma.
Si apre la piccola porta e scendiamo le scale ed eccoci immersi tra attrezzi da lavoro, chiodi, barattoli, pezzi di legno. “Ormai da 4-5 anni non vengo più a lavorare, anche se ogni tanto passo per mettere in ordine”, spiega mastro Nicola. Siamo a due passi dalla chiesa della Madonna del Carmine ed è proprio a questo luogo che è legata la storia che deve raccontarci. “Una volta la statua di San Michele veniva portata nella Chiesa del Carmine. Ma un anno (1921), poichè pioveva, la statua si fermò nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Mio zio, che era il priore della Confraternita del Carmine, e mi ha raccontato questo episodio, era molto preoccupato per questa vicenda e così scrisse al Vescovo perchè aveva il timore che anche l’anno successivo la statua del Patrono sarebbe stata portata a Santa Maria. Il Vescovo scrisse una lettera in cui diceva che la statua di San Michele sarebbe dovuta tornare al Carmine. L’anno successivo questo non avvenne e vi lascio immaginare cosa accadde. Mio zio andò su tutte le furie e si rivolse nuovamente al Vescovo molto arrabbiato. Non so se gli scrisse o gli parlò di persona ma ricordo le parole che gli rivolse (perchè così me le aveva raccontate) per esprimere la sua rabbia e la delusione perchè la lettera dell’Arcivescovo non aveva avuto valore. Non lo ripeto ma potete immaginare a quale uso igienico aveva destinato la lettera di monsignore. Alla fine la statua di San Michele restò a Santa Maria e mio zio lasciò la confraternita che poi si sciolse”.
Racconti di altri tempi e di liti furiose legate alle processioni. “A quei tempi erano matti. Anche la religione veniva vissuta così, non è come oggi”. E a proposito del carattere forte dei vastesi di un tempo Nicola ricorda un altro episodio. “Qui c’era la sottoprefettura e il sottoprefetto doveva venire ogni settimana da Chieti a sentire qualche lamentela. Una settimana non venne a Vasto e la settimana successiva anche. Quando hanno saputo che finalmente sarebbe venuto a Vasto, si fecero trovare in tanti fuori dal palazzo, che si trovava dietro la chiesa di Sant’Antonio, dove c’era una volta l’istituto tecnico commerciale. Si sono muniti di grossi pezzi di stoccafisso pezzi grossi, e lo hanno fatto nero di botte. E da allora non è venuto più.
Quella era un’altra generazione. Poi la nostra generazione è cambiata, i genitori ci dicevano di tornare a casa alle 8 di sera, ma io facendo questo lavoro non tornavo mai alle 8. Il maestro a volte ci diceva: Andate a mangiare e poi tornate subito, così ve ne ritornate subito. Quando da piccolo andavo in laboratorio, c’era una sveglia che al mattino andava avanti, a mezzogiorno era sempre 20 minuti indietro, poi il pomeriggio andava avanti e la sera tornava indietro. Era la mamma del maestro che faceva questi lavori”.
Mastro Nicola ha iniziato a frequentare la bottega di falegname di suo cugino quando aveva appena 5 anni. “Facevamo le scale per la centrale elettrica e io, che avevo 5 anni, avevo il compito di sciogliere la colla, che si metteva a bagno in un bidone. Una volta mi capitò una disavventura: mentre ero andato a prendere un attrezzo arrivò il cane della centrale elettrica, un cane lupo, che si mangiò il tegame della colla. Dovevamo incollare le finestre del palazzo che c’è ancora oggi vicino alla Villa Comunale. Quando la mattina dopo è arrivato mio cugino chiese cosa fosse accaduto. Venne fuori la mia colpa e lui mi ha afferrato con forza lanciandomi per aria. Tutto spaventato sono corso a casa ma ho trovato mia madre che, con un paio di calcioni, mi ha preso per l’orecchio e mi ha riportato indietro. A quel tempo era così, i genitori erano severi con i bambini.
Quando ti portavano il primo giorno a scuola i genitori dicevano: signor maestro, mi raccomando che questo è un diavolo. Eravamo tutti diavoli. E pensa che la bacchetta con cui poi ci punivano la dovevamo portare noi. Adesso è cambiato tutto. A Vasto abbiamo la reliquia del legno della Croce e della Santa Spina. Ecco, i figli sono come quelle reliquie, uguali. Io avevo un maestro che quando mi incontrava in giro mi fermava e mi chiedeva la lezione. Se non la sapeva mi metteva un braccio sopra la spalla e mi prendeva per un guancia, e chi se lo dimentica”, ci dice ricordando con un sorriso il gesto severo-affettuoso del maestro Mattucci.
Nicola nella sua vita ha vissuto l’esperienza della guerra. “Ero imbarcato sul Vittorio Veneto ma poi riuscii a tornare a casa. Uno dei suoi fratelli lavorava per la Società Meridionale di elettricità e lo mandò a chiamare. “Ho vissuto 7 anni, quelli della guerra, a Napoli. Quando arrivavano gli aerei si correva nei rifugi sotteranei. Quando uscivamo fuori era uno scenario di distruzione. E pensare che oggi c’è chi vuole ancora la guerra. Ma a che serve?”. Il lavoro da elettricista portò Nicola a viaggiare in lungo e largo per l’Italia, Napoli, Calabria, Abruzzo, Firenze. “Era una vita che non potevo sopportare, così decisi di tornare a Vasto, perchè volevo formare una famiglia. E così tornai a fare il falegname. Dopo una ventina di giorni dal matrimonio ho comprato casa, anche se non c’erano molti soldi. La preoccupazione era tanta ma alla fine con il lavoro siamo riusciti a fare tutto”.
Anche comprare il laboratorio che dal 1953 è stato la seconda casa di mastro Nicola. “Mi alzavo la mattina alle 4 per venire a lavorare fino a sera inoltrata. Prima c’era tanto lavoro, quante porte e finestre ho fatto! Invece oggi si lavora poco, l’industria ha ucciso gli artigiani. E poi il centro storico sta morendo, non è più come prima. Oggi le persone vogliono trovare tutte le comodità per venire in centro, vogliono arrivare con l’auto fino a dentro i negozi. Ecco perchè bisognerebbe aiutare il centro storico”. Dopo tanti ricordi, venuti fuori a raffica da una mente lucidissima e brillante, anche l’analisi di una situazione di difficoltà per quei luoghi frequentati per una vita intera. Ricordi di una persona che ha attraversato tante epoche di questa città e che ne ha conosciuto vizi e virtù, riuscendo a raccontarli con una grande ironia.
Testo di Giuseppe Ritucci
Foto di Costanzo D’Angelo
Foto – Nicola Armeno
Foto di Costanzo D’Angelo – Occhio Magico