Nove Paesi, 4500 chilometri, 360 ore e 30 minuti in bicicletta. Sono questi i “numeri” dell’impresa di Roberto Menicucci, impegnato nelle scorse settimane nella North Cape 4000, partito da Rovereto il 24 luglio e arrivato al traguardo di Capo Nord 15 giorni dopo, la mattina dell’8 agosto, classificandosi trentesimo su 220 partecipanti. Per Roberto, classe 1982, vastese di nascita e albese di adozione (vive ad Alba, in Piemonte, con la moglie Valentina e il figlio Diego da più di 10 anni), non è di certo la prima sfida di questo genere. Tra la partecipazione agli “Ironman” e a svariate gare di endurance in montagna (per citarne una, Roberto ci ha parlato del Tor de Geants, una delle corse in montagna più difficili al mondo, 330 chilometri con oltre 30 chilometri di dislivello, da percorrere in un tempo limite di 150 ore), per il professore di educazione fisica e allenatore di endurance, la North Cape 4000 è stata “l’esperienza di una vita”.
Cos’è la North Cape 4000 e come si svolge?
È una gara di ultraciclismo, quest’anno è partita da Rovereto con arrivo a Capo Nord. Lungo il percorso ci sono quattro check point stabiliti dall’organizzazione, per i quali è obbligatorio passare. Tutto il resto, pause per mangiare, riposarsi o dormire, è a discrezione dei singoli atleti. L’organizzazione, che monitora i partecipanti via GPS, in modo da garantirne la sicurezza nel tragitto, dà una “traccia” che è la strada più sicura per affrontare i 4500 chilometri complessivi del percorso. Il limite per portare a termine la gara è di 21 giorni, ed è il tempo massimo per essere “finisher”, cioè per ottenere il diploma che attesta di aver portato a termine il percorso, personalmente ho impiegato 15 giorni per raggiungere il traguardo. Nulla vieta di continuare la competizione, infatti ci sono ci sono molti partecipanti ancora in gara, che non otterranno la certificazione, ma che già nel momento della partenza avevano messo in conto di metterci un mese. È una gara a cui possono partecipare tutti, trovi atleti dai 18 anni ai 70 anni, per molte persone è l’avventura di una vita.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla gara?
Sono partito con Vincenzo La Montagna, uno degli atleti che alleno da anni e abbiamo deciso di intraprendere questa avventura insieme il giorno di Natale quindi possiamo dire che il nostro percorso era iniziato già 7 mesi prima della gara vera e propria. Abbiamo iniziato ad allenarci a gennaio e, nel periodo Covid, tra la sua cassa integrazione e la mia dad a scuola, ci allenavamo insieme, poi con le riaperture riuscivamo a vederci soltanto nei weekend. Siamo partiti tutti e due da Rovereto, abbiamo affrontato i primi 3000 chilometri fino a Helsinki faticando insieme ma, arrivati a Tallinn, lui ha avuto un affaticamento muscolare che lo ha costretto a rallentare e che ci ha portati a decidere di dividerci. La cosa importante è che alla fine anche lui è riuscito ad arrivare a destinazione.
Cosa porta gli atleti ad avvicinarsi agli sport di endurance?
Dico sempre che nella vita o si scappa da qualcosa o si vuole rincorrere qualcosa, e ognuno poi trova le proprie motivazioni per affrontare un’esperienza simile. Per alcuni il carburante sono i momenti più duri, quelli più belli o più tristi della propria vita, c’è una continua ricerca di qualcosa dentro di sé. Sicuramente un innesco c’è stato anche per me, ci sono tante cose nella vita che ci piacerebbe andassero in modo diverso, lo sport aiuta ad affrontare questi momenti più difficili e la vita in generale, per me è una sorta di cura.
Hai partecipato a molte competizioni, questa era la prima volta che ti avventuravi in un’esperienza simile e ti piacerebbe ripeterla?
Questa è stata la mia terza partecipazione ad una gara di ultraciclismo, ma nelle altre due occasioni non ho portato a termine il percorso. La prima volta avevo un compagno di viaggio che purtroppo si fece male a Zagabria e decidemmo di fermarci, visto che il progetto era nato insieme. In quel caso la gara era dal Belgio fino alla Turchia. Il secondo tentativo è stato in occasione di una gara più “piccola” dalle cave di Massa Carrara fino a Capalbio. Lo rifarei ma scegliendo un nuovo tragitto. Quando fai un percorso la prima volta, è una sfida con te stesso, una sfida contro la natura, una scoperta continua. Quando rifai la stessa gara per la seconda volta, invece, sfidi il tempo perché entri in un nuovo mood in cui vuoi fare meglio della volta precedente, vuoi superare i tuoi limiti.
Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano in una gara del genere?
Quello che conta tanto in queste gare è la gestione mentale, il modo di affrontare le situazioni che ti trovi a vivere giorno per giorno. Quando ti trovi a passare dieci ore da solo nella foresta, o a trascorrere le notti in solitudine, con tutti i fantasmi di una vita che vengono a farti visita, devi essere bravo a gestirti anche a livello emotivo. La vera difficoltà non è pedalare, sono tutti gli imprevisti, il caldo, il vento e le ruote forate. Mi dico sempre che, una volta che si è preparati fisicamente, il 20% lo fa l’allenamento, ma l’80% è quello che ti può succedere: il clima cambia di continuo, è complicato dormire, per giorni rischi di non incontrare un posto dove poter mangiare quindi le decisioni vanno prese tutte quante al momento.
Ad aspettarti ad Alba c’erano tua moglie Valentina e tuo figlio di 3 anni Diego. Come gestite la distanza durante queste gare?
Quando partecipo a queste competizioni, dico sempre che ‘non ho fatto la gara’ ma ‘abbiamo fatto la gara’, perché quando non ci sono io mia moglie deve occuparsi di tutto quello che di solito gestiamo insieme e il peso della famiglia grava tutto su di lei. È una cosa che coinvolge tutti anche durante gli allenamenti, quando manchi quattro ore da casa, comunque sacrifichi qualcosa della famiglia e bisogna trovare il giusto equilibrio. La gara l’abbiamo fatta tutti e tre insieme, Diego, mia moglie e io. Con loro due, soprattutto con mio figlio, mi sentivo su Whatsapp la mattina, a pranzo o la sera. La bici in questo caso aiuta tanto perché si può parlare al telefono, e nei momenti più duri è bello parlare con la mia famiglia, con mio fratello Andrea o mia sorella Manuela.
Italia, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Norvegia e Finlandia le nazioni attraversate durante la competizione. Qual è stato per te il momento più emozionante?
Diciamo che sono riuscito a sfruttare alla grande il mio green pass. Sicuramente, quello che mi ha segnato di più sono stati i 1500 chilometri da solo in Finlandia, penso sia un’esperienza che ciascuno dovrebbe fare per trovare se stesso. Per quanto riguarda l’arrivo, non mi ha emozionato tanto il momento in cui ho tagliato il traguardo, quanto gli ultimi 24 chilometri del percorso, perché in quel tratto rivivi tutto quanto quello che hai attraversato per arrivare fin lì. Il traguardo è un luogo, ma soprattutto è l’arrivo di un percorso che dura mesi tra l’allenamento, la gara e l’avvicinamento, durante il quale inizi a pensare ‘adesso arrivo, ce l’ho fatta’.
Sei tornato da poco ma ti aspetta già una nuova esperienza, dove ti porterà la tua prossima avventura sportiva?
Venerdì 27 agosto partirò per realizzare quello che è il sogno che rincorro da sei anni, l’Ultra Trail du Mont Blanc, la gara regina della corsa in montagna. Si parte da Chamonix e si fa il giro del Monte Bianco in un percorso di 170 chilometri con 10mila metri di dislivello, e un tempo limite di 46 ore, senza soste nemmeno per dormire. Sono sei anni che cerco di rincorrere questo traguardo perché per partecipare bisogna qualificarsi. Tre anni fa mi ero qualificato ed ero pronto alla partenza ma è nato mio figlio e mi sono detto, ‘va bene, tanto il Monte Bianco non si sposta’. Ho rincorso per altri tre anni questa qualificazione che è combaciata con la partecipazione alla North Cape, ma non importa, sono pronto a ripartire.