“Come stai? Sei felice di essere qui?”
“Sì. Ma vedi, qui, adesso, per noi è un lutto. Ogni anno è sempre lo stesso lutto”.
A dirlo è Rezene, un ragazzo eritreo, e il lutto è il naufragio del 3 ottobre 2013, avvenuto a poche miglia di distanza dalla costa di Lampedusa e ricordato come uno dei più gravi disastri registrati sulla rotta più pericolosa del Mediterraneo. A perdere la vita furono 368 persone, quasi tutte eritree, con una ventina di dispersi e 155 sopravvissuti.
Un lutto giunto al settimo anniversario e che per il secondo anno consecutivo il Polo Liceale “Raffaele Mattioli” di Vasto ha condiviso, prendendo parte al progetto Lampedusa Porta d’Europa, istituito dal Ministero dell’istruzione e dal Comitato 3 Ottobre per avvicinare i ragazzi delle scuole superiori al tema delle migrazioni a partire dalla prospettiva di chi quei viaggi li compie e di chi quotidianamente fa dell’accoglienza e della solidarietà valori per cui lottare.
Ciò che è accaduto il 3 ottobre è una pagina scura della nostra Storia: al largo dell’isola dei Conigli, drammaticamente vicina alla spiaggia e alla fine del viaggio, il motore della barca va in avaria, il capitano avvista delle navi in lontananza, dà fuoco a un pezzo di stoffa in un disperato tentativo di rendersi visibile e dare l’allarme; nella frazione di pochi secondi si diffonde il panico e tutti i passeggeri si riversano su un lato della barca, che si rovescia, lasciandoli ingoiare dalle onde e dall’olio che si riversa in mare dal motore.
Il dolore di quella notte, la rabbia per le domande ancora in sospeso, il senso di umanità dei pescatori, di quanti sono accorsi a salvare i corpi e di quanti non intendono permettere che la memoria di quell’evento vada perduta, hanno fatto sì che da allora il 3 ottobre sia diventato la Giornata internazionale della memoria e dell’accoglienza, e Lampedusa un attracco per centinaia di studenti in rappresentanza di scuole provenienti da tutta Europa, guidati ad affrontare i temi di migrazione e transito fra nazioni, conflitto, diversità e accoglienza attraverso due giorni di laboratori, workshop, tavole rotonde, fra le testimonianze di giornalisti, attivisti e dei ragazzi sopravvissuti.
La situazione pandemica di quest’anno ha condizionato ma non fermato la manifestazione, che si è svolta nel rispetto di tutte le norme di prevenzione alla diffusione del contagio da Covid-19, già dal piano organizzativo: su decisione del presidente del Comitato 3 Ottobre Tareke Brhane la tradizionale marcia verso la Porta d’Europa si è convertita in un momento di ritrovo ai piedi del monumento, a distanza di sicurezza e con obbligo di mascherina per tutti i partecipanti, per lanciare fiori in mare in ricordo delle vittime non solo di quella notte ma di tutte le vittime del Mediterraneo; una squadra di volontari è stata disposta all’ingresso di ogni incontro per disinfettare i locali, rilevare la temperatura e vigilare sul rispetto delle distanze; degli iniziali trecento studenti previsti, solo cinquanta hanno potuto partecipare.
Fra questi, Lorenza Carmen Battista e Simone Di Minni, accompagnati dalle docenti Francesca Cinquina e Carla Orsatti su volontà della dirigente Maria Grazia Angelini del Mattioli di Vasto, unico istituto dell’Abruzzo partecipante e risultato per la seconda volta fra i ventuno vincitori del concorso indetto dal MIUR Lampedusa Porta d’Europa.
Gli studenti hanno partecipato a laboratori come quelli di Amnesty International e UNHCR, e ascoltato gli interventi di figure come Pietro Bartolo, europarlamentare e medico di Lampedusa al tempo del naufragio, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, la regista Francesca Mannocchi, le giornaliste Carlotta Sami (L’Espresso) e Annalisa Camilli (Internazionale), il politico Mpanzu Bamega e molti altri, toccando alcuni dei nodi fondamentali della “questione migranti”: la necessità di far arrivare lo sguardo più indietro, là dove ci sono le cause geopolitiche che spingono le persone a muoversi dal proprio paese, quindi ai conflitti e alle ingerenze dell’Europa nei paesi coinvolti dal fenomeno migratorio, e più avanti, là dove l’informazione mediatica riduce gran parte della complessità legata ai transiti di persone in un meccanismo di consenso a rapido consumo, con il rischio di un naufragio di coscienza.
È una consapevolezza che Simone espone con chiarezza ai microfoni del TGR Sicilia, nel dire che «noi veniamo a Lampedusa per capire un altro punto di vista, per comprendere che tutto quello che leggiamo dai giornali e che sentiamo in tv è reale però è anche distorto. E quindi stiamo parlando di persone, di migranti, che affrontano dei viaggi lunghi per arrivare qui in Italia. E qui a Lampedusa, che è un crocevia di popoli, c’è la testimonianza di tutti questi viaggi».
Uno dei momenti più toccanti della manifestazione è avvenuto la mattina del 2 ottobre, quando hanno preso la parola è i superstiti del naufragio. Fra loro è presente, per la prima volta, Kibrat, una ragazza salvata per un fortuito colpo di coda del destino da Bartolo quando era stata dichiarata già deceduta. Con voce incrinata ma ben udibile, forte, Kibrat si chiede e chiede a tutta la platea riunita nella sala dell’aeroporto: “Perché”. Perché quelle navi che lei ha visto quella notte, a poca distanza dalla loro barca che si stava rovesciando, non si sono fermate, perché non sono tornate indietro. In questo “perché” ci sono responsabilità collettive. All’indomani delle modifiche al Decreto sicurezza anche in materia di soccorso in mare, è un interrogativo da continuare a porsi.
Senza farlo apposta, Perché è il titolo della canzone che Lorenza ha scritto per il progetto, e che ha interpretato accompagnandosi alla chitarra in apertura della giornata di venerdì, di fronte alla platea che raccoglieva tutti gli studenti, i volontari e i superstiti. L’ha replicata poi durante la notte, nel corso della accorata e partecipata commemorazione organizzata da Vito Fiorino, uno dei soccorritori della notte del 3 ottobre, al memoriale costruito nel centro di Lampedusa, un vortice che riporta, uno per uno, i nomi delle vittime.
Spesso è stato ripetuto ai ragazzi presenti di “farsi ambasciatori di questa esperienza”. Dentro a questa formula – forse un po’ troppo immobile e abusata – ci sono la concretezza dell’essere presenti, la semplicità di ascoltare, con rispetto, le storie altrui, e soprattutto la determinazione: per raccontare, lottare e portare avanti memoria e umanità. Sotto questo punto di vista, l’impegno preso dal Liceo Mattioli è vivo e mosso dalla volontà di portare a tutti, studenti e cittadini, lo stesso messaggio di accoglienza e vicinanza raccolto a Lampedusa. “Testimonianza” è un altro modo per dire “passaggio”.
Maria D’Ugo