La Rete per lo Sviluppo del Vastese, fondata nel 2012 per accrescere la competitività di ogni azienda partecipante, la scorsa settimana ha rinnovato la composizione del comitato di gestione. Alla conclusione del suo mandato come presidente della Rete abbiamo incontrato Pietro Aquilano, di Teamservice, che in questi giorni ha passato le consegne al neo presidente Renato De Ficis.
La Rete nel corso del suo primo anno di vita ha ottenuto ottimi risultati, riuscendo ad accedere a finanziamenti importanti.
I fondi ottenuti, che fanno riferimento a bandi regionali e nazionali, sono stati utilizzati in formazione e sviluppo, settori cruciali per ogni impresa. E i benefici sono stati evidenti, anche con la possibilità di assunzione di nuovi dipendenti in alcune delle 13 aziende che hanno beneficiato dei finanziamenti. Si è trattato di finanziamenti in parte a fondo perduto e in parte che hanno richiesto un investimento da parte dell’azienda.
In un momento storico dove sembra essere tutto nero questi risultati ottenuti dalla rete possono portare ad un moderato entusiasmo?
Le 13 aziende che hanno ricevuto i finanziamenti fatturano una ventina di milioni di euro, quindi qualche centinaio di migliaia di euro di fondi ricevuti iniziano ad essere una percentuale sostanziosa. E’ chiaro che questo non è sufficiente a rialzare le sorti delle aziende che vivono questa crisi così importante, ma siamo andati ad investire su due settori, formazione e innovazione, che tutti gli economisti del mondo indicano come strategici.
E’ la dimostrazione che si può davvero fare innovazione su questo territorio? Penso all’entroterra dove le criticità su logistica e comunicazioni sono evidenti.
Di che territorio parliamo? Queste zone interne esistono e vanno salvaguardate, ma la storia dice altre cose. Oggi si crea economia dove c’è almeno un milione di abitanti. E quello che genera una città da 10 milioni di abitanti è il doppio di quello generato da 10 città da un milione di abitanti. Se vogliamo lottare con i mulini a vento possiamo anche farlo, ma non andremo da nessuna parte. Il territorio si deve aggregare avendo Vasto come centro. E il mio non è un discorso campanilista, ci mancherebbe, anche perchè sono nato a Celenza sul Trigno e vivo a San Salvo, quindi non ne avrei motivo. Oggi trovo sia fondamentale che l’area Vasto-San Salvo-Cupello e così via, diventi un’area metropolitana. Se la nostra generazione inizia a trasmettere ciò ai nostri figli forse riusciremo a cambiare la mentalità.
Vasto deve essere un polo di attrazione, si deve assumere la responsabilità di fare questo, deve prendere l’iniziativa e poi essere in grado di fare accordi sapendo di dover stringere patti “win to win”, senza lasciarsi prendere dall’idea del “poichè sono più grande domino”. Si vogliono delocalizzare le industrie di Punta Penna? Bene, allora si scelga un posto dove ci sono già le infrastrutture, così lì si caratterizzerà la zona industriale e nel contempo si decide di puntare a Vasto sull’aspetto turistico-commerciale.
Questo però può accadere solo se a livello pubblico si mette in pratica ciò che voi, grazie alla Rete, avere sperimentato a livello privato.
E’ proprio così, noi lo abbiamo sperimentato con efficacia, mettendo insieme aziende di Vasto, San Salvo e Gissi, che sono anche le aree di riferimento di Assovasto. Sono certo che avere soluzioni del genere a livello pubblico darebbe forza e tanta linfa a questo territorio, permetterebbe di esprimere rappresentanti istituzionali forti nei vari livelli, permetterebbe di fare lobby. Così si costruisce un territorio.
Perchè allora non si riesce ancora a fare il salto culturale dalla concorrenza alla collaborazione?
Culturalmente veniamo dal mondo del campanile, dove si facevano le guerre tra i paesini e nei paesini si facevano le guerre tra quartieri. Oggi non è più il tempo. Bisogna fare aziende solide, grandi e dove non è possibile si deve delegare ad altre strutture. Non a caso i fondi erogati alle singole aziende non esistono più, a favore di aggregazioni, che siano reti, consorzi, patti territoriali, filiere, le forme sono tante.
Si continua a parlare di “piccolo e bello”, della piccola e media impresa. Va benissimo, ma per piccola si deve intendere l’azienda che ha almeno 10 dipendenti, al di sotto c’è la micro. E già se guardiamo al nostro territorio vediamo che ci piccole ce ne sono poche, abbiamo solo micro. Se ognuno resta isolato non possiamo fare le esportazioni, non possiamo andare a competere nel mondo globale presentandoci con le ditte individuali. Si devono aggregare, e le aggregazioni non sono mai facili.
Quello che stiamo sperimentando porterà reali benefici solo tra qualche anno. Anche se, andando ad analizzare, non stiamo ancora seguendo i veri principi della rete, da pragmatico quale sono ho detto “iniziamo a portare i fondi” ed oggi tutte le aziende presenti ne hanno tratto beneficio. Poi, con processi molto lenti, si potrà sviluppare la rete in senso compiuto.
Un imprenditore ha già da affrontare tante situazioni complesse per portare avanti la propria azienda. Cosa l’ha spinta a dedicare del tempo a questa attività di presidente della rete?
E’ un dovere. Impegnarsi in queste attività porta beneficio al territorio e quindi, anche molto indirettamente c’è un ritorno. Se il territorio cresce e si arricchisce tutti, ad ogni livello, ne traggono beneficio. Ma non è che l’imprenditore fa qualcosa solo per avere un tornaconto diretto che lo porta a guadagnare. Come tutti gli esseri umani ognuno fa delle attività sociali e questa vi rientra, perchè va a favore del territorio, della popolazione. Chi si impegna in ruoli come quello del presidente della Rete fa il proprio dovere.