FURCI – Ci sono uomini che sembrano non avere lasciato traccia, e invece sono la radice di tutto. Angelo Cianciosi era uno di questi. Un carabiniere, un padre, un uomo che veniva da Furci e che aveva fatto la sua parte senza chiedere nulla in cambio. La sua morte è una pagina breve della guerra, ma piena di sostanza, di quelle che non si leggono nei libri di scuola.
Lo fucilarono i tedeschi il 26 settembre 1943, in un bosco abruzzese, dopo un interrogatorio che aveva solo una richiesta: dare i nomi dei partigiani. Non parlò. Nessuno dei suoi compagni parlò. E così furono uccisi.
Angelo Cianciosi era un uomo normale. Aveva vissuto in Argentina, ci era andato per cercare di costruire qualcosa. C’era tornato con la famiglia nel 1938. Quello che successe dopo lo portò di nuovo in divisa. Era carabiniere a Pascellata, una frazione sperduta sulle montagne del teramano. Dopo l’armistizio, quelle montagne diventarono un rifugio e una trappola. I partigiani presero il bosco. I tedeschi tornarono con i mortai e fecero rastrellamenti.
Alla caserma di Pascellata arrivarono in sessanta. Arrestarono tutti. Disarmarono Angelo, insieme a Leonida Barducci e Settimio Annecchini. Presero anche un alpino, Donato Renzi, colpevole di aver ospitato un neozelandese, poi divenuto delatore per salvarsi. Ma non si salvò nessuno.
Ci fu un interrogatorio, breve, duro. Avvenne in una casa chiamata “Casa di Mimì”, trasformata in posto di comando. La domanda era semplice: «Chi sono i partigiani?». La risposta fu il silenzio. E fu quello a condannarli. Li portarono a Sella Ciarelli, un’altura dove la guerra era diventata legge. Li fucilarono lì. I corpi rimasero abbandonati fino al 6 ottobre, poi furono seppelliti nel cimitero di Pascellata.
Per decenni, nessuno parlò più di quella storia. Nemmeno in famiglia. Mario Cianciosi, il figlio più piccolo, aveva solo tre anni. Dice di ricordare il padre in due flash. Uno, quando lo redarguì per una ingenuità. L’altro, il mare. «Era il 1943, vidi il mare per la prima volta a Vasto Marina, dove papà prestava servizio». Poi il buio. Il silenzio. La notizia della morte arrivò solo il 26 dicembre, il giorno dopo Natale. Un colpo che non si racconta.
Anche il fratello, Giuseppe, ricorda quella storia come un peso sottile, mai condiviso. «Nessuno ci ha mai riconosciuto nulla. Forse erano altri tempi. Forse non bisognava parlare». Per molto tempo non si parlò davvero.
Solo anni dopo, negli anni Duemila, qualcuno ricominciò a cercare. Un tenente colonnello dei carabinieri, Oberdan Tiberi, insieme ad altri appassionati locali come Aladino Di Gennaro, raccolsero testimonianze e misero ordine nella memoria. Nacque un monumento, a Pascellata. Un piccolo libro, scritto da Antonio Rupa, raccontò la storia dei “Martiri di Sella Ciarelli”.