VASTO – Vasto, come spesso accade nei luoghi che hanno un’anima antica, le parole non sono solo parole. Sono segnali, sono richiami, sono piccole bussole per orientarsi nei ricordi e nei sentimenti. È così che Pasquetta e Pasquone, che altrove potrebbero sembrare due facce della stessa medaglia, qui diventano due celebrazioni distinte, due feste che non si somigliano affatto, se non per l’amore con cui vengono vissute.
La Pasquetta, a Vasto, è il 6 gennaio, giorno dell’Epifania. Ma il rito inizia la sera prima. Quando le case cominciano a riempirsi di strumenti musicali e di voci pronte al canto. Non è un concerto, non è una recita: è qualcosa di più profondo. È una tradizione orale e musicale che si tramanda da generazioni, fatta di fisarmoniche, di chitarre e di tamburelli. È un corteo spontaneo e affettuoso, che bussa alle porte non per chiedere, ma per offrire. Un canto augurale che porta la benedizione della festa e il calore dell’amicizia. Una notte che, per molti, ha il profumo del passato e la voce di chi non c’è più.
Poi arriva Pasqua. E con lei, il Pasquone: che non è solo un modo buffo per dire “Pasquetta”. È un’altra festa, meno rumorosa, più carnale, fatta di fumo e di forchette, di tovaglie stese sull’erba, di famiglie allargate e compagnie storiche.
Con l’architetto Francescopaolo D’Adamo abbiamo ripercorso i Pasquoni di un tempo, quando la scampagnata aveva certe: Punta Penna, la Maddalena, Vasto Marina. Posti che oggi sembrano quasi cartoline, ma che un tempo erano teatro di piccole epopee familiari, con i bambini che correvano tra gli ulivi e le donne che tenevano tutto sotto controllo con uno sguardo solo.
Insomma, se vieni da fuori potrai anche chiamarla Pasquetta, ma se sei vastese, sai che oggi è Pasquone. E che la vera Pasquetta, quella con la P maiuscola, l’abbiamo già cantata — a gennaio, tra le note e le ombre di una città che non dimentica le sue tradizioni.
Perché a Vasto, le parole contano. E ogni festa ha il suo tempo, il suo suono, il suo profumo.