VASTO – La pensione, si sa, è un tema che divide. Ma quella di ieri, tra dichiarazioni, smentite e accuse, è diventata una vera e propria partita a scacchi, dove ogni mossa rischia di influenzare non solo il presente, ma soprattutto il futuro di milioni di italiani. Il punto di partenza è una rivelazione bomba firmata Cgil, che ha scosso la politica e il mondo del lavoro. A metà giornata, il sindacato guidato da Maurizio Landini lancia un allarme: «Dal 2027 non basteranno 67 anni, ma saranno necessari 67 anni e tre mesi per la pensione di vecchiaia. E per l’anticipo? A partire dal 2027 serviranno 43 anni e 1 mese di contributi». Un’uscita che suona come un colpo di scena, soprattutto considerando che l’INPS non aveva fatto trapelare nulla di simile.
Pensioni, Ghiglione (CGIL) «Totale assenza di trasparenza istituzionale»
La reazione è stata immediata, con la Cgil che ha accusato l’INPS di aver modificato i requisiti pensionistici in modo unilaterale, senza alcuna comunicazione ufficiale da parte dei ministeri competenti. Una modifica che, secondo il sindacato, sarebbe stata inserita nei sistemi informatici dell’INPS, creando un notevole scompiglio tra i lavoratori. «In totale assenza di trasparenza istituzionale», ha tuonato Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil, puntando il dito contro quella che definisce una scelta “unilaterale” che ha sconvolto le previsioni.
La notizia ha scatenato una tempesta. Non solo la Cgil, ma anche la CISL si è subito allineata, chiedendo spiegazioni, mentre l’opposizione, dai Verdi al PD, ha preso la palla al balzo per chiedere al governo chiarimenti urgenti. Il nodo? L’aumento dei requisiti pensionistici che, secondo il sindacato, sarebbe stato deciso sulla base dei dati Istat, ma senza che il governo avesse preso posizione. E, cosa ancora più importante, senza che fosse stato attivato l’automatismo previsto, che sarebbe dovuto scattare solo in presenza di una modifica dell’aspettativa di vita.
A complicare ulteriormente le cose è arrivata la smentita ufficiale dell’INPS, che ha negato ogni tipo di modifica: «Le certificazioni continueranno a essere redatte in base alle tabelle attuali», hanno fatto sapere dall’ente. E ancora, il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha messo un punto fermo: «Non ci sarà alcun aumento dei requisiti». Una posizione che ha placato in parte le acque, ma che non ha certamente fermato le polemiche. Perché, nonostante la smentita, il dubbio rimane: chi ha fatto trapelare queste informazioni? E soprattutto, come mai si è arrivati a parlare di aumenti non previsti?
La vicenda ha creato un vero e proprio allarme tra i lavoratori, in particolare tra i nati nel 1960, i cosiddetti boomers, che avevano già pianificato il loro pensionamento con i requisiti fissati. Per alcune ore, temevano di finire nel limbo, rischiando di rimanere senza una tutela previdenziale, come accadde in passato con gli esodati. Una preoccupazione che è svanita, grazie alla smentita dell’INPS, ma che ha lasciato aperto un punto interrogativo enorme.
Il futuro delle pensioni: una partita ancora aperta tra politica e sindacati
Ma il nocciolo della questione rimane sempre lo stesso: come si può parlare di pensioni a 41 anni, quando il sistema previdenziale sembra essere un continuo cantiere, pieno di sorprese e modifiche improvvise? Il governo, intanto, continua a restare in silenzio, mentre sindacati e opposizione insistono: parole, promesse e slogan non bastano più. In gioco ci sono milioni di lavoratori e il loro futuro, ma in mezzo a tutto questo, sembra che il gioco delle parti sia sempre più una questione di politica e non di tutele reali.
C’è chi giura che la questione non è chiusa e che presto, a distanza di pochi giorni, la partita potrebbe riaprirsi. Difficile dire se sarà così. Ma una cosa è certa: la pensione continua a essere un tema troppo delicato per non farne un terreno di scontro politico.