di Alessandro Aruffo
PESCARA – Quando mi sono imbattuto nell’opera di Ungaretti, a lettura completa mi sono domandato, nel suo essere uomo che tipo di poeta è stato? Sicuramente il poeta della «luce». La capacità di ricerca espressiva di questa luce ci è stata lasciata dal poeta nel sentire tutta l’essenza del mistero che alberga nella parola umana. La parola per Ungaretti è un avvicinamento asintotico al mistero dell’esistenza umana.
Ungaretti insiste molto sulla distanza essenziale tra l’effimero e l’eterno, nonché sulla loro dinamica relazionale; questa distanza è inconciliabile secondo la misura umana, l’arte può solo decifrare alcuni codici esistenziali che ci avvicinano all’eterno, ma l’interezza della relazione del temporale con l’eterno rimanda e rimane al mistero stesso.
Ciò che sconvolge è scorgere come l’eterno per Ungaretti stia nell’elemento sconosciuto della relazione dell’azione soggettiva verso l’oggetto della propria felicità e il corrispettivo soggettivo che si presta nell’amore della donazione; nel mezzo di questo flusso di scambio dinamico l’esistenza esprime il nulla: «Tra un fiore colto e l’altro donato l’inesprimibile nulla»1 dice Ungaretti in L’Allegria. Che cos’è questo nulla? Diciamo che non è giusto intendere il nulla nella visione di Ungaretti come la condizione di nientificazione del vivente. Il nulla, piuttosto, nell’intento di Ungaretti è l’espressione primitiva dell’illuminazione del mistero nella consapevolezza che la vita è un abisso che non ha un fine di terminazione essenziale.
Questo nulla che la poesia di Ungaretti cerca di esprimere è un qualcosa di vivo, per dirla filosoficamente è qualcosa di essente. L’essere-essente del nulla non può essere misconosciuto dall’esserci umano, rimane il fuoco stesso del mistero che vive nella dimensione dell’eterno in noi. Detto questo, per Ungaretti è essenziale capire una cosa: l’esistenza del mistero del nulla o dell’abisso dell’esistenza non può assumere una coscienza umana, l’uomo se cercherà di analizzare metodicamente e psicologicamente questo dimensione dell’eterno sarà perennemente in scacco.
Sta qui tutto l’autosabotaggio del razionale e della misura umana che cerca a tutti i costi di spiegare analiticamente l’abisso umano. Qui sta anche l’errore, per Ungaretti, del naturalismo francese che ha voluto attraverso l’analisi metodica delle forme sociali dei rapporti umani, analizzare l’oscurità dell’abisso. Facciamo parlare Ungaretti: «Il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Ma noi sappiamo benissimo che, se per l’uomo tutto poggia sempre su un dato oscuro, nessuno sarà mai in grado di risolversi umanamente in tale dato senza confondersi perdersi e annullarsi; e anche sappiamo, non meno bene, che non ci saranno mai luci umane, né proustiane né freudiane capaci di renderci mensurabile tale dato, da renderci tale da vederci finalmente chiaro»2.
All’opposto del mistero c’è la misura umana come accennato, mai misura del mistero, e la misura è rivolta sempre all’inveramento terreno dell’uomo che si inventa come obbietto storico. La misura è la parola che ha il potere di nominazione delle cose, che nella sua connessione esistenziale con il mondo ci riporta al mistero senza svelarlo, contemporaneamente opponendosi ad esso.
La parola è insignificante per Ungaretti se non sussume l’incisività emotiva e la visione del senso esistenzialistico. La poesia con Ungaretti diventa più che una riflessione razionale alla sofferenza umana, una vibrazione del senso sconosciuto insito nel dolore stesso.
Che forse Ungaretti capì che ci resta da vivere nell’essere atterriti, infranti da qualcosa che ha il potere di spazzarci via? Rispondiamo con il risveglio di Ungaretti:
Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me
Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse
Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito
Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto
Ma Dio cos’è?
E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta
E si sente riavere3.
1 G. Ungaretti, Vita, Poetica, Opere Scelte, Il Sole 24 Ore, p. 135.
2 Op. cit., pp. 536-37.
3 Op. cit., Risvegli, pp. 166-67.