ABRUZZO – I primi giorni del 2024 sono stati caratterizzati dall’incessante lavoro delle squadre di Soccorso alpino, che si sono trovarti spesso a dover recuperare in quota escursionisti sprovveduti e mal equipaggiati.
L’ultimo intervento risale al 3 gennaio, quando una comitiva di 15 persone è rimasta bloccata a 2.102 metri , al rifugio “Sebastiani”, sulla catena montuosa del Sirente-Velino. Il gruppo, dopo aver trascorso la notte nel rifugio, al momento della discesa si era trovato bloccato a causa dell’equipaggiamento inadeguato e del terreno ghiacciato ed era stato così obbligato a richiedere l’intervento del Soccorso alpino. Questo è solo l’ultimo di una lunga sfilza di casi simili, che ogni anno costano alle casse della Regione e dello Stato migliaia di euro.
Ma effettivamente, chi paga il Soccorso alpino?
Ogni Regione determina in modo diverso i costi che gli utenti sono tenuti a pagare in caso di operazioni di soccorso. Generalmente le prestazioni di soccorso sono gratuite e a carico del Sistema Sanitario nazionale, ma visto l’uso spesso sconsiderato che si fa dei servizi di soccorso in montagna molte regioni (soprattutto quelle dell’arco alpino) sono corse ai ripari e hanno istituito delle tariffe. Anche l’Abruzzo si è unito vista la natura montuosa di buona parte del suo territorio e i frequenti incidenti collegati all’escursionismo.
La normativa generica, per le regioni che applicano dei costi ai soccorsi in montagna, è che se l’intervento di salvataggio si conclude con un ricovero in ospedale, solitamente il soccorso è tenuto al pagamento del solo ticket. Nel caso invece di interventi di recupero causati da comportamenti scorretti, mancanza di equipaggiamento o di esperienza, il soccorso dovrebbe pagare per intero l’intervento di recupero. Diciamo “dovrebbe” perché, nella realtà dei fatti, spesso e volentieri questi costi di recupero non vengono saldati da chi ne usufruisce, andando a creare dei buchi non indifferenti nelle casse regionali.