Di Nicola D’Adamo
VASTO – Ottanta anni fa, il 5 novembre 1943, l’esercito alleato con la sua VIII Armata al comando del generale Montgomery faceva il suo ingresso a Vasto.
La ricorrenza storica è stata sottolineata da Italia Nostra del Vastese venerdì scorso con una interessante visita guidata sui luoghi degli Alleati a Vasto. Il presidente del sodalizio Davide Aquilano ha ricordato che “l’attenzione degli inglesi su Vasto iniziò un mese prima. Il 6 ottobre un bombardiere della Raf colpì il quartiere Aragona causando la morte di due cittadini: Ettore Mariani (70 anni), Chiara Obino (23 anni). Nello stesso giorno, i tedeschi facevano saltare il Faro di Punta Penna. Il 16 ottobre un bombardiere inglese colpiva la navata di sinistra della chiesa di S. Pietro e la cappella del Monte dei Morti. Il 18 ottobre i tedeschi ordinarono l’evacuazione della città. Il 3 novembre con un cannoneggiamento colpirono l’angolo all’ingresso di via del Cimitero cagionando la morte di 4 civili della stessa famiglia. Ultimo atto, il 3 novembre fecero saltare tre palazzi nell’attuale corso Nuova Italia.”
Su quelle storiche giornate molti i ricordi. La Società Vastese di Storia Patria presieduta da Gabriella Izzi Benedetti pochi anni fa ha pubblicato “I fili della memoria:anni di guerra 1943-44” con parecchie preziose testimonianze. Nel volume la compianta Anna Stivaletta Artese così ricordava quei giorni: “ll suono delle sirene echeggiava sinistro e cupo e metteva in allarme la popolazione che cercava scampo rifugiandosi di corsa nelle campagne alla periferia di Vasto o nei rifugi improvvisati nel centro cittadino. Il rombo terrorizzante degli aerei bombardieri risuonava nel cielo e la paura invadeva il nostro essere. (…) Un giorno verso metà del mese di ottobre si udì un tramestio, un vociare confuso: Aktung! Raus” Parole incomprensibili seguite da uno sparo. Terrorizzati aprimmo la porta militari tedeschi minacciosi in volto i mitra spianati e i movimenti direzionali del corpo ci facevano intendere il triste significato di quelle parole: attenzione fuori! Abbandonammo la casa (…) Eravamo un gruppo di 16 persone amici e parenti (…)arrivammo in contrada Due Valloni (…) per fortuna scorgemmo un pagliaio dall’aspetto accogliente e confortevole: lì ci si sistemammo”.
Il 5 novembre gli inglesi fanno ingresso a Vasto e utilizzano la città come “Garrison town”, vale Città della guarnigione. In pratica la sede del comando militare, che nei mesi successivi coordinerà il movimento delle truppe per le sanguinose battaglie lungo la linea Gustav.
Alcuni anni fa tramite Giuseppe Catania abbiamo raccolto la testimonianza del dott. Prof. Alfonso Ricci (scomparso nel 2011) che in prima persona ha vissuto storica giornata del 5 novembre 1943.
“ In città, intanto, erano attivi i fermenti di gruppi intenzionati a resistere alle intimidazioni e alle razzie dei soldati tedeschi”, ha raccontato Ricci. “E già la mattina del 2 ottobre, nella sede comunale, si tenne un abboccamento tra il podestà Silvio Ciccarone, il sig. Roberto Mallucci e il tenente Angelo Cianci, onde esaminare la opportunità di meglio tutelare le condizioni di sicurezza della popolazione e della Città. (…) Ma dopo varie riunioni Silvio Ciccarone riuscì a farli desistere da ogni azione immediata onde evitare gravi ritorsioni da parte dei militari germanici”. Frattanto nel mese di ottobre si intensificavano le operazioni belliche da parte degli alleati. e ii ii tedeschi, dal canto loro, il 18 ottobre imposero l’evacuazione della Città e la consegna delle armi e ordinarono di prendere cinque ostaggi tra la popolazione per evitare rappresaglie. II maresciallo tedesco che comandava la piazza di Vasto raccontava Ricci “comunicò i nomi degli ostaggi: il generale Michele D’Adamo, l’Avv. Gaetano Del Greco, il Parroco Don Romeo Rucci, Filandro Lattanzio, ed il presidente di allora degli Ortolani. Da aggiungere che Ciccarone offrì al comando la propria persona quale ostaggio”. I tedeschi ripiegarono verso Casalbordino.
“Gli inglesi, preceduti da carri armati “Tigre” avanzavano lentamente, non sapendo che a Vasto ormai non vi era alcuna traccia dei tedeschi, fermandosi a Collepizzuto, paventando un contrattacco germanico”.
II dott. Ricci, insieme a Quirino Palazzo ed il dott. Giulio Recchia, si incontravano a piazza Rossetti, con Silvio Ciccarone, Silvio D’Annunzio ed altri cittadini, e decidevano di “uscire incontro agli inglesi” che contattavano al bivio di S. Antonio Abate, ma ancora indecisi per il timore che a Vasto vi fossero numerosi “nidi di Bosch”. “Assicurato il comandante dei mezzi corazzati dell’VIII Armata che nessun pericolo incombeva, la colonna mosse alla volta di Vasto”. Su ciascuna delle autoblindo inglesi, vennero fatti salire alcuni cittadini vastesi. Sulla prima Silvio Ciccarone e Mallucci; sulle altre il Maresciallo Piras, poi il dott. Alfonso Ricci, quindi il dott. Recchia, D’Angelo, D’Annunzio e così via altri. Giunti a Vasto centro alla colonna si unirono numerosi cittadini inneggiando ai “liberatori”.
Nel volume “I Fili della Memoria” Paolo d’Anelli così ricorda quel giorno: “Nel novembre del ‘43 gli Alleati giunsero a Vasto, dove una volta consolidata si la situazione fu spostato il comando delle truppe alleate”. Come sede fu scelto il Castello Caldoresco. “Lì si insediarono gli ufficiali inglesi che vedevamo entrare ed uscire dal grande portone. Per la residenza del generale Montgomery capo del corpo d’armata fu requisito un bel villino in stile di castelletto medievale prospiciente il panorama del mare (in via Tre Segni ndr). L’insediamento a Vasto del comando militare fu concluso da una breve cerimonia che per un ragazzino di 9 anni quale ero io costituiva un ricordo indelebile. Nella piazza Rossetti la principale di Vasto apriva una sfilata con un piccolo plotone di highlanders scozzesi con i kilt e le cornamuse che suonavano una nenia mai sentita. Seguiva poi una compagnia di soldati indiani i gurka con il turbante, i baffi e la barba. Avevano la faccia truce. (…) Sfilò poi una compagnia di soldati inglesi di aspetto molto diverso alti e dinoccolati con la carnagione pallida del viso sotto i caratteristico elmetto al tegamino Seguivano poi le pattuglie neozelandesi e indiane, il Commonwealth insomma, noi ragazzini stavamo lì a vedere a bocca aperta”.
In un’altra testimonianza dello stesso volume Maria Teresa Izzi Sacchetti racconta la sua vita da sfollata e come venne a sapere dell’arrivo degli alleati.
“La nostra vita di sfollati durò circa un mese. La casa era a mezza costa tra la strada provinciale di San Lorenzo e la valle del Sinello. (…) Un paesaggio indimenticabile che mi è rimasto nel cuore ed ha sicuramente contribuito ad attenuare il disagio psicologico e materiale di ciò che stavamo vivendo. (…) Fu in uno di questi giorni che lo zio Paolo decise di fare la sua puntata a Vasto (…) lo vedemmo tornare poco dopo trafelato con la notizia che gli inglesi erano entrati a Vasto il giorno prima, il 5 novembre, dopo che i tedeschi si erano ritirati. (…) Bisognava allontanarsi al più presto. Eravamo sulla linea del fronte e c’era il rischio che qualche sparatoria di una resistenza sul Sinello da parte dei tedeschi. (…) Raccogliemmo in fretta le nostre cose in breve fummo pronti (…) risalimmo la strada di San Lorenzo diretti a piedi verso Vasto. Non eravamo soli, una discreta fila di persone con borse e fagotti faceva il nostro stesso percorso. Vedemmo subito avanzare una colonna di carri armati: inglesi o tedeschi ?Qualcuno propose di avanzare con le mani alzate. Ma ci rassicurammo subito quando un carro armato si fermò e scese un soldato inglese che molto calorosamente si affrettò a dare la mano alla nonna Maddalena perché ci fece capire a gesti e a parole, era la più anziana del gruppo. Noi fummo piacevolmente impressionati e rincuorati. (…) Nella tarda mattinata giungemmo a Vasto. Ci trovammo in un clima di festa. Ci raccontarono l’entrata degli alleati il pomeriggio precedente (…) erano arrivati a passa di marcia da via San Michele lungo il percorso la gente si assiepava festante. (…) Ma a casa trovammo una devastazione. I soldati tedeschi vi erano entrati avevano buttato l’aria e distrutto tutto quello che avevano trovato. (…) Ci dovremmo risistemare alla meno peggio. Tutto questo ci dispiaceva ma non era l’essenziale: l’importante per noi era essere vive, scampate alla guerra(…). Non dovevamo più temere bombe, violenze, soldati, fughe e disagi”.
Ma nelle settimane successive la guerra entrò ancor più nel vivo: la battaglia si spostò sul Sangro, lungo la linea Gustav, e fu molto cruenta. Nel cimitero inglese di Torino di Sangro ed in quello canadese di Ortona sono sepolti 4.232 soldati dell’esercito alleato!
Con grande desolazione dobbiamo constatare che le immani sciagure della seconda guerra mondiale non hanno insegnato nulla. Stiamo ripartendo daccapo!
Aneddoti raccontati nella famiglia Canci : 1. nelle campagne si trovava da bere anice. Non ho mai capito se questo era dovuto a temporanea impossibilità di prendere acqua dalle fonti o se é stata un’esperienza singola di un gruppo di persone. Era un ricordo di mia madre bambina.
2. all’arrivo delle truppe inglesi in via Roma, un signore anziano sventolava il fazzoletto lentamente dall’alto al basso, dicendo in un italiano distorto “Vivo!” (=evviva). Mio bisnonno Francesco Paolo Canci, commentava ad ogni gesto “Sciò masch” (=vai via mosca). Questo aneddoto veniva raccontato a memoria di un certo umorismo non solo del bisnonno, ma che era spesso presente nelle persone del tempo, nonostante le dure prove da affrontare.