VASTO – In un volume pubblicato esattamente 25 anni fa, nell’ottobre 1998, dal titolo “Vasto, pagine di storia… di devozione e fede a San Michele Arcangelo”, si ripercorrono le origini della venerazione dell’Arcangelo a Vasto, sin dai tempi della peste bubbonica del 1656, «partita (la peste) dai Sardi lidi, erasi intrusa nella città di Napoli […]. La peste – si legge – intanto grassava a Napoli, piangevano gli abitanti di San Severo, San Nicandro Garganico, Lucera, Lesina, si temea a Vasto, nella vicina Ortona si contarono 2500 morti; ma prevalendo la fede si decide di edificare prospicente al Gargano, nel più ameno sito di Vasto, una chiesetta votiva all’Arcangelo e nel dì del 19 marzo a benedirle e piantarvi la Croce». Nel testo poi si legge che, posta la prima pietra, il piccolo tempio fu aperto ai fedeli e dedicato nel 1675, come testimonia anche un’iscrizione latina di Giovanni Palma, scrittore e segretario del marchese Diego D’Avalos.
Da quel momento in poi, la venerazione verso san Michele si diffuse così tanto a Vasto, da essere invocato nelle varie calamità e problematiche che la città visse. «La popolazione del Vasto, infatti – si legge ancora dalla pubblicazione -, si era affidata pienamente alla protezione del grande Arcangelo del Signore, così come in altre calamità naturali successive tornerà ad affidarsi al suo benevolo patrocinio. Oltre quanto già detto come storia locale, in realtà la devozione al Santo Arcangelo ha accompagnato la storia del popolo vastese fin dal momento del dominio del popolo longobardo, con il suo ducato beneventano, sulle antiche terre istoniensi. Da allora la fede religiosa verso la protezione di S. Michele, è stata sempre particolarmente avvertita dalla popolazione vastese, soprattutto nel suo ceto contadino, che per lunghi secoli, fino ai nostri tempi, è stato il ceto predominante nel contesto civico della città e del territorio circostante».
Questa grande venerazione per l’arcangelo è scaturita così in una duplice festività, quella dell’8 maggio, come nel Gargano, chiamata festa della “Vittoria” e che interessa il quartiere San Michele, e quella patronale del 29 settembre.
Don Domenico Spagnoli, parroco di Santa Maria Maggiore, la parrocchia che, in occasione della solennità patronale, ospita i festeggiamenti liturgici in onore del santo, accanto al valore votivo-religioso che la festività assume per la città e al significato della sacra immagine raffigurata nella statua, tanto cara al popolo vastese, ci parla di «un invisibile amore che si fa compagnia e ci accompagna nella vita, perché affidarci agli angeli significa ricordare che c’è un invisibile amore che ci visita e che ci sostiene nel combattimento quotidiano».
Certo, la Chiesa di San Michele e la statua rappresentano un po’ l’apoteosi di un culto che affonda le sue radici nel 1600, ma non sono l’unica espressione del passato, in questo senso. La collegiata di Santa Maria Maggiore ospita, infatti, due tele settecentesche, una1 custodita sopra l’antica nicchia della Sacra Spina, raffigurante l’Arcangelo in una postura danzante: mentre con il dito indica la Santissima Trinità, sconfigge i diavoli facendoli precipitare negli inferi. La spada è di fuoco. La seconda2, invece, come riferisce don Domenico, «attribuita al Solimena, è custodita nella sala Montfort, conosciuta anche come sala dei chierichetti. È interessante – dice il sacerdote -, perché c’è il diavolo a cui è inferto un colpo mortale sulla testa e così precipita. Dallo sfondo nero, poi, si notano i tratti molto graziosi del volto dell’Arcangelo, sormontato da uno splendido diadema (purtroppo poco evidente).È plausibile pensare che la tela, all’origine, fosse quantomeno più alta, poi tagliata. Questo ce lo dice il fatto che la spada di San Michele non sia interamente visibile. Un’opera che apparteneva ai celestiniani – conclude – la cui casa religiosa era l’attuale Teatro Rossetti e ai quali venne acquistato da questa parrocchia».