CAMPOBASSO – Il 14 settembre, Khaled El Qaisi, cittadino italo-palestinese, si troverà nuovamente davanti al giudice in Israele. La sua detenzione è iniziata quando è stato fermato dalle autorità israeliane al valico di frontiera di Allenby mentre tornava a Roma da un viaggio a Betlemme con sua moglie, Francesca Antinucci, e il loro figlio di 4 anni. L’udienza tenutasi il 7 settembre a Rishon Lezion, a sud di Tel Aviv, ha portato a una proroga della sua detenzione di altri 7 giorni e ha rivelato il suo trasferimento presso il carcere di Ashkelon.
Ciò che rende questa situazione ancor più preoccupante è il fatto che Khaled e il suo difensore non abbiano potuto comparire insieme durante l’udienza, a causa delle restrizioni legali che impediscono loro di vedersi e comunicare. Questo solleva gravi dubbi sulla conformità della detenzione di Khaled con i principi di giustizia e diritti umani universalmente riconosciuti.
Flavio Albertini Rossi, avvocato della famiglia di Khaled in Italia, ha espresso viva preoccupazione per il totale spregio dei diritti di civiltà giuridica da parte della legislazione israeliana. Questi diritti sono comunemente riconosciuti in Italia, in Europa e nell’ONU e includono il diritto a un processo equo e la prevenzione di arresti arbitrari. Tuttavia, Khaled è stato sottoposto a nove giorni di detenzione senza poter comunicare con il suo difensore e senza accesso ai dettagli delle accuse contro di lui.
Inoltre, preoccupa la possibilità che l’autorità israeliana possa sostituire la detenzione penale con quella amministrativa in assenza di prove concrete. Questa condizione giuridica coinvolge oltre 1.200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza prove e senza accesso alle ragioni del loro trattenimento.
Data la situazione allarmante della detenzione di Khaled El Qaisi e la violazione dei suoi diritti umani, è stato lanciato un appello per ottenere la sua immediata liberazione e il suo ritorno in Italia. Una petizione è stata attivata e ha già raccolto oltre tremila firme.