VASTO – Era questo il titolo che un manuale di storia contemporanea di oltre un decennio fa dava ad uno dei capitoli, in generale poco o quasi mai studiati nelle scuole e su cui un perspicace studente di terza media incentro la propria mappa concettuale per gli esami di fine ciclo.
Una sola consapevolezza è trasversale a tutti i commenti all’indomani dell’11 settembre 2001: la certezza che sarà uno di quegli eventi capaci di creare una sorta di spartiacque nella storia, generando un prima e un dopo non solo per l’America di George Walker Bush, ma per il mondo intero, anche a distanza di due decenni.
Proviamo a ricostruire brevemente ciò che accadde in quella giornata. Alle 8:46 di quella soleggiata mattina newyorkese, le 14:46 in Italia, un aereo si schianta contro una delle torri gemelle del World Trade Center di New York. Alle 9:02 un secondo aereo va ad infrangersi contro l’altra delle Torri Gemelle, ma solo alle 9:33 si apprenderà che uno degli aerei kamikaze era un Boeing 767 dirottato da Boston.
Gli avvenimenti si succedono sotto gli occhi di un’America sotto shock. Lo sgomento ed il terrore si propagano immediatamente nel mondo intero attraverso le immagini della diretta televisiva. Alle 9:45 un incendio divampa a Washington, presso il Pentagono che viene fatto subito evacuare. L’incendio è causato, ma in quei momenti di confusione non si aveva alcuna certezza, dall’esplosione di un altro aereo. Nello stesso momento viene evacuata la Casa Bianca.
Sono le 10:07 quando crolla il primo grattacielo colpito a New York e, venti minuti più tardi, collassa la seconda torre. Due ore più tardi cede un altro palazzo vicino al World Trade Center per i danni provocati dalle precedenti esplosioni.
Il Dipartimento di Stato americano, includendo nell’elenco anche le vittime di un quarto aereo dirottato e precipitato in una zona disabitata, informò che i caduti, in quella che viene considerata “un’operazione bellica”, provenivano da 90 Paesi. Dalle cifre ufficiali, dal crollo delle Torri a New York le vittime furono 2.823, inclusi i passeggeri dei due aerei; 125 quelle dell’incendio del Pentagono; mentre nei quattro aerei dirottati e precipitati c’erano 264 passeggeri.
Sono trascorsi 22 anni dai tragici fatti dell’11 settembre, ma una delle cose che sconvolge ancora è l’incredibile buco dell’intelligence americana, a tutti i livelli, che permise l’operazione di Al Quaeda, con effetti, come anticipato poche righe sopra, a lungo temine per gli Stati Uniti e il mondo.
Tanto è vero che le considerazioni, ora, vanno effettuate sul presente e le sue ripercussioni, piuttosto che su errori del passato a cui, cronologicamente, è impossibile porre rimedio. Ciò che sconvolge oggi è che la risposta muscolare post 11 settembre negli anni si è rivelata costosa e disastrosa e la stabilità è stata una chimera per tutto il ventennio e giocoforza la sicurezza non è aumentata. Se è vero, come ha detto a più riprese Joe Biden, che la missione principale è stata raggiunta con l’uccisione di Osama Bin Landen, non si può dire lo stesso per Al Qaeda. L’onda lunghissima di quello shock si è vista chiaramente in quello che è successo in Afghanistan. Il ritiro americano e il collasso del neonato Stato afghano in favore del ritorno dei talebani è sembrato un enorme reset di quanto avvenuto nei primi due decenni del nuovo secolo. Il ritorno al potere degli studenti del Corano ha portato sul banco degli imputati non solo l’amministrazione Biden che ha curato la ritirata, ma altre tre amministrazioni Usa, senza contare il dietrofront culturale, sociale e di genere a cui è nuovamente sottoposta la popolazione afghana.
Fra un estremo e l’altro della storia, tuttavia, figurano miliardi di dollari bruciati in operazioni militari e tentativi, dunque vani, di nation building, cioè l’assistenza alla costruzione dello Stato afghano che rispettasse i criteri della stabilità e della democrazia. Secondo le stime del Watson Institute della Brown University tra il 2001 e il 2022 gli Usa hanno speso qualcosa come 5.800 miliardi di dollari ai quali vanno aggiunti almeno altri 2.200 per i costi di cura dei veterani da qui al 2050.