VASTO – In prigione nella prigione, si direbbe un tempo. Oggi questa parola non si usa più perché fa rabbrividire, porta dietro di sé un significato punitivo e spregevole. Che solo ascoltando le parole di stamane, salta alla mente. Stiamo parlando degli agenti di polizia penitenziaria che prestano servizio nella Casa lavoro di Vasto e che oggi sono stati invitati in Comune per accogliere le loro rimostranze. Appelli disperati di persone – e ribadiamo persone – che vivono da tre anni un inferno senza via d’uscita. Lavoro usurante sì, ma non ai livelli attuali. La carenza cronica d’organico, doppi turni massacranti, riposi saltati, 15-20 giorni lavorativi senza pause e struttura fatiscente non adatta alla capienza dei detenuti.
Al carcere di Torre Sinello si lavora 16 ore continuative, con una vigilanza costante ed estenuante, a causa della presenza degli internati, detenuti che hanno ricevuto una pena accessoria perché ritenuti “socialmente pericolosi”. «Soggetti con diagnosi di schizofrenia, borderline ed ex tossicodipendenti che passano tutto il giorno sdraiati sulla brandina e compiono gesti quotidiani di autolesionismo», ha raccontato Leonardo Rizzi (Cisl). «Persone che avrebbero bisogno di cure psichiatriche e di personale formato per gestirli», ha spiegato Lucio Di Blasio, funzionario giuridico, parcheggiati per anni a Torre Sinello perché non ci sono altre strutture che li possono accogliere.
E così capita che anche due volte al giorno si ricorre alle cure del Pronto soccorso dell’ospedale di Vasto, com’è successo di recente, mettendo a soqquadro i locali e impegnando personale medico d’emergenza, anche lì carente.
«È meglio gestire 1500 detenuti al carcere di Rebibbia (Roma) che non i 100 internati di Vasto, – ha detto Roberto Frangione (Sappe). Gli psichiatri vengono 1-2 volte a settimana, ma non basta perché spesso gli internati hanno una doppia diagnosi medica». La questione non è quindi solo meramente organizzativa ma anche sanitaria. «Possiamo ormai dire che dopo 13 anni il concetto-valore di Casa Lavoro è fallito a Vasto, – ha aggiunto Frangione -. Ci sono solo 5-6 detenuti che lavorano nella sartoria, meglio cambiare la tipologia e trasformare il carcere in una struttura detentiva femminile».
In collegamento video da Roma, il rappresentante della Cnpp, Giuseppe Merola, che ha denunciato una «situazione fuori controllo in cui il fondo è già stato toccato» chiedendo con urgenza «un coinvolgimento del Prefetto, Mario Della Cioppa, magari un tavolo tecnico perché la questione riguarda l’ordine e la sicurezza che si riverbera sulla città intera». In rappresentanza della sigla sindacale c’era anche Nicola Pistilli.
«Basta con le promesse, – ha aggiunto Fabrizio Faraci (Uil Abruzzo) -. Se dobbiamo essere abbandonati, avvieremo le proteste dal 15 settembre, cominciando proprio con un sit-in a Vasto. Poi Lanciano, Teramo, Sulmona e Pescara. In Italia la carenza d’organico nella polizia penitenziaria è del 20%, in Abruzzo del 40 per cento».
«Fino a poco tempo fa a Pescara c’era il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria – ha sottolineato Giovanni Notarangelo (Osapp) – con il quale era possibile interloquire per le strutture abruzzesi e molisani. Oggi è stato associato a quello del Lazio e chi vuoi che ascolti a Roma le difficoltà di una Casa Lavoro che si trova nel lembo sud dell’Abruzzo?»
Il carcere è un sistema chiuso e non c’è via di fuga, ma certamente rappresenta il termometro di un Paese che ha il dovere d’investire in legalità e sicurezza. «Gli internati – ha spiegato Di Blasio – sono soggetti a misure di sicurezza che mal volentieri digeriscono. Col tempo – e senza cure adeguate se non tranquillanti – diventano schegge umane impazzite».
Accanto a Gino Ciampa (Fp- Cgil Abruzzo), la vice sindaca Licia Fioravante, in veste di avvocato penalista, oltre a rappresentante della giunta insieme con l’assessora Paola Cianci, anche lei togata. Al centro il primo cittadino, Francesco Menna, intento ad ascoltare pensieroso tutte le rimostranze e ad accogliere il grido d’allarme di questi lavoratori esausti. «Da quando sono sindaco, ho visto solo promesse politiche – ha detto Menna sottolineando di tutti i partiti dell’arco costituzionale – che sono venuti a Vasto solo per fare la camminata. Voi avete ringraziato me per l’invito, ma sono io a dover ringraziare voi e le vostre famiglie».
«La situazione è drammatica, – ha aggiunto il sindaco -: non c’è un direttore né un comandante nella struttura, il lavoro è delicato e gravoso. Ho sempre pensato che l’istituto penitenziario in città rappresentasse una risorsa e non un problema. Chiederò al Prefetto un tavolo tecnico permanente e indiremo un Consiglio comunale straordinario invitando anche la Regione, deputati e senatori abruzzesi, ai quali chiederò incontro i sottosegretari alla Giustizia (Andrea Delmastro Delle Vedove o Andrea Ostellari, ndr). La vostra – ha concluso – è un’aspettativa consumata negli anni».
In fondo alla stanza del Gonfalone, c’era lei, una moglie di un rappresentante sindacale che Zonalocale ha voluto ascoltare per capire quanto il problema si viva anche fuori da quei cancelli di Torre Sinello. Una donna preoccupata per le minacce di morte dirette al marito che non sa a che ora stacca il suo turno o quando può programmare una giornata in famiglia.
L’uomo ha richiesto l’aiuto di uno psicologo privato, «nella struttura ci va 1-2 volte all’anno e lui vive con una pressione addosso non indifferente», ha raccontato – per gestire «ormai da tre anni» un lavoro di abnegazione e sacrificio, ma che per nulla al mondo «ha mai rinnegato né pensato di cambiare, orgoglioso della divisa che porta». I suoi figli, ormai grandi, si sono abituati, col tempo, a sentire quelle minacce di morte. «Spero che si risolva qualcosa», ha concluso P. B. con gli occhi arrossati.