VASTO – La seconda serata di Vasto d’Autore – il festival culturale a cura di Angelozzi Comunicazione ospitato nei Giardini d’Avalos fino a domani 9 luglio – ha visto ieri la partecipazione di due giornalisti-scrittori Marco Bova e Michelangelo Iossa.
Il primo, classe 1989, siciliano di Trapani, è un giovane giornalista d’inchiesta che si occupa di mafia. Il libro s’intitola “Matteo Messina Denaro latitante di Stato. Magistratura, forze dell’ordine, massoneria: tutta la verità sulle piste affossate”. Non è una biografia del boss di Cosa nostra detenuto oggi nel carcere di massima sicurezza all’Aquila o la sequenza di fatti e condanne, ma la denuncia di «come un potere sovrastante sembra governare le sorti del latitante, una presenza massonica consistente e riservatissima che ne tutela identità e nascondigli, affari e relazioni altolocate», si legge nella prefazione.
Marco Bova ha scritto questo libro prima della cattura di Matteo Messina Denaro e ha raccontato che ha subìto lui e la sua casa editrice, Adriano Salani editore, ritorsioni e diffide da magistrati e personaggi delle istituzioni, tali da costringerlo alla rimozione di alcuni passaggi del testo, rimasti però sulle prime stampe.
«Non sono io che ho visto, ma lo racconto», ha sottolineato Bova nel denunciare il silenzio e l’omertà della sua terra. Matteo Messina Denaro è stato latitante per 30 anni, non di mafia ma di Stato. Un «ricatto vivente», l’ha più volte nominato così. Si tratta di «una storia malata, avvelenata da relazioni tra mafia, istituzioni e pezzi della società civile». Don Ciccio Denaro, padre di Matteo Messina, è stato il fattore delle tenute agricole della famiglia D’Alì, titolare della banca più importante della Sicilia.

Il libro di Marco Bova parla di intrecci tra servizi segreti e stragi di Stato, quelle eclatanti del 1992-1993, «biennio infuocato caratterizzato politicamente da governi tecnici, di coalizione». L’allora capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, nomina infatti presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, un bravo economista ma senza esperienza politica. In quegli anni Cosa nostra tesse la tela di una grande maglia che avvolge pezzi della società civile e istituzioni creando un tutt’uno. Nomi che tornano e ritornano, come Paolo Bellini, condannato un anno fa all’ergastolo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e arrestato il 29 giugno scorso. Pietro Rampulla, soprannominato “l’artificiere”, al quale viene attribuita la carica di esplosivo che fece saltare in aria a Capaci il giudice Falcone e la sua scorta. E poi c’è il Sisde, il servizio per le informazioni e la sicurezza democratica attivo fino al 2007, poi sostituito con Aisi, Agenzia informazioni e sicurezza interna.
Oggi «Cosa nostra è Cosa nuova». La mafia è mercantilista, tentacolare perché ha coinvolto le lobbies economiche. «Quanti siciliani e calabresi sono a fare investimenti a Dubai, negli Emirati Arabi? I boss, tutti i boss, invece sono in carcere», ha spiegato Bova. La cattura di Matteo Messina Denaro indurrà la politica ad allentare il sistema punitivo dell’ergastolo ostativo del 41 bis. Un particolare livello di detenzione, che per legge, è già soggetto a rivalutazione ogni due anni. L’ondata garantista avanza.