VASTO – È sempre una gran bella emozione per loro e per il pubblico che ascolta il racconto di Lella e Pinuccio Fazio, genitori di Michele, il 15enne ucciso con un colpo alla nuca dalla mafia pugliese, quartiere Barivecchia. Michele non era un mafioso né frequentava ambienti del genere. Semplicemente, è stato vittima di un attentato, una strage messa a punto da donne dei clan che hanno preparato quella maledetta sera i loro figli minorenni con birra e melone ghiacciato, sotto effetto di droga, a fare strage in strada perché «il sangue chiama sangue», dura legge mafiosa. Per l’omicidio di Michele Fazio, sono stati condannati Francesco Annoscia, Raffaele Capriati e Michele Portoghese. Il quarto coinvolto, Leonardo Ungredda, è stato ucciso nel 2003 sul lungomare di Bari.
Oggi i coniugi Fazio sono tornati a Vasto per partecipare al convegno a Palazzo d’Avalos dal titolo “Giustizia riparativa”, una testimonianza che nasce proprio dall’incontro con uno dei sicari, Francesco Annoscia, che ha chiesto loro di perdonarlo in nome – e sotto giuramento – di suo figlio che in quel momento doveva vedere ancora la luce. Una luce che invece si è spenta nella famiglia Fazio da quella sera del 12 luglio 2001. E poi riaccesa, più forte, per aiutare coloro che lo vogliono, a ricominciare a vivere, a cambiare vita.
Così Annoscia è diventato “Figghiùe meie“, in dialetto barese, per tre volte, gridato da Lella mentre abbracciava il ragazzo in carcere. «In quel momento ho visto Michele», ha raccontato alla platea della Pinacoteca. «E non serve il tintinnio delle manette a rendere giustizia ma la salvezza sì, la consapevolezza di avere e dare un’altra possibilità perché fa male vedere ragazzi in carcere», ha sottolineato Pinuccio. Applausi dal pubblico. C’è dolore e rabbia nell’essere genitori di Michele, ma non più il silenzio. «Per tanti anni sono stata omertosa e me ne vergogno molto», ha aggiunto Lella. Adesso non più. La mamma, che nel frattempo è diventata nonna, nel ricordo di Michele, “il suo angelo”, dispensa abbracci e sorrisi. E questo è il suo perdono anche «se ricordare fa sempre male, ma io parlo, non sto più zitta», ha precisato.
Proprio ieri è morta quella donna mafiosa che tanti anni fa le tappò la bocca mentre lei gridava dolore e vendetta. In quegli attimi eterni, quando il sapere Michele in ospedale era l’unica speranza di vita e lei era lì sotto casa, a minacciare di rovinare loro la vita una ad una, donne di mafia senza scrupoli. Oggi, esattamente in quel posto, si trova la statua del suo angelo Michele, «simbolo di pace e libertà perché oggi Barivecchia è un quartiere vivibile». La morte che tutto distrugge e a tutti fa pareggiare. «Anche lei ha sofferto tanto, per un tumore al cervello, certo – ha spiegato Lella -. E io ho sentito per diversi mesi i suoi lamenti. A me il dolore di mio figlio, a lei la malattia. Ho pregato il Signore e ieri la donna è deceduta».
Lella e Pinuccio, con i soldi ricevuti da una colletta organizzata dai commercianti del quartiere, hanno fondato una cooperativa sociale dal nome eloquente: “Vita Nuova”, che ha dato la possibilità ad ex carcerati di ripartire, di «mangiare pane con un vero stipendio», ha detto Pinuccio guadagnandosi un sincero applauso. Insieme con Ilaria De Vanna e Damiano Nirchio della cooperativa Crisi, presenti in città, i coniugi Fazio parteciperanno a breve all’incontro nella Casa circondariale di via Torre Sinello, rappresentata dalla funzionaria giuridico pedagogica, Giusy Rossi, per parlare a, ma soprattutto con, i detenuti di Vasto.
Nel frattempo, in via Pietra c’è stato il passaggio di consegne tra l’amministrazione rappresentata dall’assessora comunale, Anna Bosco, e la scuola dell’Infanzia Mary Poppins per la gestione e la cura del giardino che il Comune qualche anno fa, nel 2021, ha intitolato e dedicato a Michele, il giovane 15enne ucciso dalla mafia.