di Nicola D’Adamo
VASTO – Si dice che “la storia è maestra di vita”, nel senso che conoscendo gli eventi del passato possiamo meglio comprendere i fatti di oggi. La riflessione che qui proponiamo è proprio in quest’ottica, nel senso che per capire l’immigrazione di oggi, dovremmo tornare, per esempio, a inizio ’900 quando una grande massa di italiani per fame emigrò nei vari Paesi del mondo, specialmente verso le Americhe, e si dovette accontentare dei lavori più umili, mal retribuiti, pesanti e spesso in condizioni difficili.
La storia che raccontiamo oggi riguarda un brutto incidente sul lavoro in USA, nel quale morirono otto emigrati vastesi. Sul capitolo indennizzi e processo penale, purtroppo, non siamo riusciti per il momento a reperire materiale utile. La narrazione è abbastanza completa e fa luce su un mondo, quello dell’emigrazione, che dopo oltre un secolo quotidianamente affronta gli stessi problemi. La storia si ripete. Sempre.
IL FATTO. Il 26 maggio 1913, nel West Virginia un treno investì un gruppo di operai al lavoro lungo la linea, travolgendo 11 italiani, di cui otto vastesi. Morirono sul colpo: Giuseppe Cicchini di 23 anni; Vincenzo Cicchini di 31; altro Vincenzo Cicchini di 35 anni; Giuseppe Del Borrello di 34; Luigi Di Spalatro di 41 anni; Carmine La Verghetta di 27; Pietro Marchesani di 47 anni e Cesario Suriani di 35. La vicenda è nota da anni a Vasto, ma noi con l’aiuto del materiale storico disponibile oggi in rete, cercheremo di ricostruire i contorni di questa tragica disgrazia.
IL LUOGO, LINEA BALTIMORA-OHIO. Dalla seconda metà dell’800 in USA ci fu una frenetica corsa per realizzare la rete ferroviaria in modo da collegare popoli ed economie di tutti gli Stati. Una di queste linee fu la Baltimora-Ohio che attraversava la West Virginia con un percorso difficile tra le montagne, seguendo il tortuoso corso del fiume Potomac e includendo il tratto più ripido tra Martinsburg, Cumberland e Hansrote. Qui, ad Hansrote, addirittura c’erano di stanza locomotive aggiuntive unicamente per assistere i treni in difficoltà. Ad inizio ‘900 il traffico aumentò del 25%, per cui si pensò di varare un corposo piano di investimenti per nuovi tunnel, accorciare il tracciato e ridurre le pendenze, il cosiddetto “Magnolia Cutoff“. A questi impegnativi e faticosi lavori – che si conclusero a dicembre del 1914 – furono impegnati duemila 500 emigrati tra cui i poveri vastesi. Fu una delle opere più costose degli USA.
L’INCIDENTE SULLA STAMPA. Lo stesso giorno, il 26 maggio 1913, The Washington Times e l’Evening Star, pubblicano più o meno lo stesso dispaccio di agenzia: «In nove uccisi dall’Espresso. Operai schivano il treno merci, ma sono investiti in pieno dal treno B&O (Baltimora-Ohio)».
Dispaccio speciale per The Star: «Nove italiani sono stati uccisi e quattro feriti questa mattina, verso le 10 – a due miglia a est di Hansrote W.Va. e a trentasette miglia a est di Cumberland – perché travolti dal Baltimora e Ohio Eastbound Express 2. Gli uomini erano dipendenti della Kerbaugh Construction Company, impegnati al miglioramento della linea ferroviaria vicino al tunnel Doe-Gulley. Stavano scappando da un’esplosione quando allo stesso tempo – schivando un treno merci veloce diretto a ovest – il treno passeggeri giunse di colpo da dietro la curva, che ne oscurava l’avvicinamento. Furono scagliati in tutte le direzioni. I corpi sono stati consegnati agli appaltatori. Uno dei feriti, che probabilmente morirà, è stato portato in un ospedale a Martinsburg W.Va., e un altro con gravi ferite alla testa è stato portato al Western Maryland Hospital. Un terzo con una gamba rotta è stato portato al campo di Doe Gully».
Il settimanale Martinsburgh Statesman Democrat, pubblicato il 30 maggio del 1913 in un ampio servizio (in prima e settima pagina), fa ampia luce sulla triste e drammatica vicenda. «La terribile disgrazia avvenuta quando gli operai erano al lavoro per miglioramenti sulla linea vicino al tunnel: i funzionari delle ferrovie dicono che stavano fuggendo da una improvvisa deflagrazione (del terreno che stavano minando, ndr)».
Un’altra versione sulla calamità racconta che «Dieci lavoratori italiani sono stati uccisi sul colpo e uno ferito gravemente e in fin vita, al tunnel Doe Gulley, due miglia e mezzo a ovest di Orleans Road, questa mattina alle 9:40 con il treno rapido 8 Baltimora – Ohio. Questo è il treno più celere su questa linea, il “diretto” più veloce da Chicago a New York. Quando il treno ha lasciato Cumberland, era in ritardo di un’ora e questo è il tratto di linea preferito per recuperare tempo. Alcuni degli uomini in viaggio sul treno hanno detto che quando entrò nel tunnel stava correndo con una velocità notevole superiore a quella pubblicizzata per questo famoso ed unico vettore. Gli uomini delle ferrovie hanno detto che il treno viaggiava a 45 miglia all’ora. Gli uomini in viaggio, molti dei quali sono passati di qui e hanno fatto trasferire i loro bagagli a Winchester, hanno detto che la velocità era tra le 60 e le 70 miglia all’ora. Il treno effettua soste per collegamenti importanti lungo la linea e in molti casi le coincidenze lo aspettano. Poiché la compagnia ferroviaria non sembra in alcun modo responsabile dell’incidente, questa non è una questione di poco conto».
STORIE DIVERSE. Esistono altre versioni su come si sia verificata la disgrazia, di cui quasi non si trovano precedenti negli annali della ferrovia in questa parte del Paese. «Una squadra di alto livello era alla guida del treno. Il conduttore, Henry Long, ora residente a Baltimora, dipendente fidato e competente, era a capo di questo treno. L’ingegnere J.N. Cage di Altimora, vecchio e competente pilota, è in azienda da diversi anni. Ci sono centinaia di operai che lavorano lungo la linea per i miglioramenti della B&O (Baltimora-Ohio). Proprio all’estremità del tunnel c’è stata una grande quantità di esplosioni (con detonazione di mine) sulle colline per smuovere il terreno».
Una versione differente, quella della Ferrovia.
«Gli uomini erano una cinquantina o più di italiani, nessuno dei quali parlava inglese e la maggior parte dei quali era appena arrivata in questo Paese. Erano impegnati a far saltare con le mine uno scavo alla fine del tunnel. I ferrovieri dicono che, durante l’allarme per un’esplosione causata da una miccia corta e troppo rapida, abbiano tentato di uscire dal pericolo e siano corsi verso l’altra direzione trovandosi davanti al treno 8, proprio mentre usciva dal tunnel alla velocità della luce. Degli undici feriti – dicono qui i ferrovieri – sono appena una mezza dozzina quelli che non sono stati spaventosamente fatti a pezzi e irriconoscibili. Uno è stato portato al City Hospital con il treno 2. In ospedale oggi alle 12 è stato detto che aveva una possibilità molto remota di guarigione. Una spalla è fratturata, molte lacerazioni intorno alla testa e altre ferite. Il dottor Oates, assistito dal dottor Myers e dal dottor Trask, sta strenuamente cercando di salvare la vita dell’uomo. La caposala Arnica ha detto che le probabilità di sopravvivere erano molto scarse».
La versione che la Ferrovia fa dell’evento è assolutamente tabù per i viaggiatori che erano sul treno. Uno di loro, Lewis E. Evans, ha affermato di essere stato per 25 anni sui treni e coinvolto in cinque incidenti ferroviari, descrivendo la tragedia in modo molto vivido. Ha detto che stava guardando fuori dal finestrino e consultando la tabella degli orari per capire se c’era una coincidenza qui a Martinsburg, nella Cumberland Valley, diretta a Winchester. Si era appena rimesso in tasca il foglietto quando ha ricordato di aver guardato fuori dal finestrino e di aver pensato silenziosamente «forse prenderemo qualcosa se continuiamo così (con questa velocità)». Aveva appena rimosso l’idea, quando il treno all’uscita dal tunnel attivò in modo rapido e improvviso i freni ad aria compressa facendolo quasi sbalzare dal sedile. Allo stesso tempo un fischio acuto e strano dalla locomotiva gli fece capire molto chiaramente che qualcosa non andava.
La storia di Mr Evans è stata raccontata in modo dettagliato a un corrispondente di World. «Gli addetti alle ferrovie possono avere ragione – disse – e io sono troppo affezionato ai dipendenti di Baltimora e dell’Ohio per dire qualsiasi cosa che possa ferirli, ma in questo caso hanno assolutamente torto sull’incidente. Ero lì e non appena il treno si è fermato – rendendomi velocemente conto dell’incidente – sono sceso da quel treno. Ho assistito al massacro più terribile che abbia mai avuto la sfortuna di vedere, e sono rimasto lì per un minuto cercando di decidere sul da farsi. Non ho avuto molto tempo perché il treno è stato fermo pochissimi minuti. Non ricordo quanto. Una scena del genere richiederebbe un “word painter” (pittore di parole, ndr) più esperto di me. Il tracciato ferroviario su entrambi i lati era una sorta di ruscello e, in alcuni punti, un fiume di sangue. Tutti gli uomini devono essere stati uccisi all’istante, tranne un poveretto che, ho saputo, non è morto. Ci sono 200 o 300 italiani che lavorano lì, scavando il fianco della montagna. Con questo dovrei pensare, forse, che la maggior parte di loro è abituata al continuo passaggio dei treni veloci. Qualcuno ha detto che si è trattato di un’esplosione di dinamite (per gli scavi), avvenuta proprio nel momento in cui il treno 8 è arrivato di corsa e gli uomini non hanno avuto il tempo di togliersi di mezzo».
«Io – sottolinea Mr Evan – non credo affatto che stessero scappando dall’esplosione. C’è sporco di terra ovunque, ma questo treno è passato proprio attraverso una parte di esso. La mia idea è che gli uomini siano saliti in fretta su un rialzo di terra mossa a fianco della montagna e il rombo del treno e l’ondulazione del terreno hanno causato lo scivolamento della terra con l’intera folla proprio sui binari. Non avevano vie di fuga, poveri diavoli. Se fossero scappati dall’esplosione – come dicono i ferrovieri – alcuni di loro avrebbero avuto il tempo di salvarsi. Così com’è, non è rimasto che poco di ognuno di loro, con cui fare il funerale. Non sembra esserci colpa di nessuno perché la terra su cui questi uomini – come pensavo – si erano arrampicati, sembrava perfettamente sicura. Fu il movimento del treno che la fece cedere sotto di loro e loro sui binari, uccisi come un gregge di pecore in un recinto».
«Mi sembra un po’ assurdo – secondo la narrazione di un tecnico “nervoso” – parlare di 12 uomini su 100 che corrono direttamente sulla traiettoria di un treno espresso che va alla velocità della luce». Il signor Evans ha dichiarato che, per un momento, il tecnico del treno era prostrato. «Ma non era assolutamente colpa sua – disse in un attimo con la solita faccia tosta di un macchinista – e riprese l’acceleratore del treno guadagnando ancora tempo. Penso – racconta ancora Mr Evans – di aver visto 300 o 400 uomini al lavoro mentre passavamo. Espressioni di orrore sui loro volti che temo di vedere nei miei sogni per i prossimi sei mesi. L’incidente non ha creato grande agitazione sul treno e il capotreno ci ha detto che è stato causato dagli uomini che si sono allontanati dall’esplosione. Non ho detto nulla, non erano affari miei, ma con franchezza racconto qual è la mia versione: ogni uomo ha uno spirito di autoconservazione, anche un povero lavoratore italiano, e non si può dire che una dozzina di loro si accalcherebbe su un binario per incontrare morte nel modo in cui hanno fatto. Nessuno potrà mai dire davvero come sia successo. Intorno al deposito, tutti i ferrovieri insistono che gli uomini sono corsi verso il treno. Questo è possibile ma non probabile».
Il senatore A.C. McIntyre è intervenuto sostenendo che solo pochi giorni prima era sulla linea Baltimora-Ohio e aveva visto 300-400 uomini al lavoro per tagliare il lato della montagna. Gli è stato detto che ci sarebbero stati 600 di questi uomini al lavoro quella mattina. Ha spiegato che proprio mentre il binario lascia il tunnel, il tracciato entrava in una brusca curva su cui in alcuni punti c’era un dislivello di 19 pollici. E per alleviare questa brusca curvatura sui binari è stata stanziata di recente una somma da ricavare sugli 8 milioni di dollari finanziati dalla compagnia di Baltimora & Ohio.
I corpi degli italiani morti furono portati a Cumberland sul treno 55 e preparati per la sepoltura.
CHI SONO GLI 8 VASTESI MORTI. Nel 2003 a Vasto in occasione della Festa del Ritorno, Paolo Calvano e Renata d’Ardes hanno pubblicato il volumetto “Per una vita più umana” dedicata agli emigranti. In una sezione la descrizione dell’incidente assieme alle notizie biografiche di ognuno degli 8 vastesi morti a Hansrote il 26 maggio 1913.
Giuseppe Del Borrello di Sebastiano e di Michela Napolitano nasce a Vasto il 17 novembre 1879, si sposa il 5 dicembre del 1901 con Elisabetta Celenza di Antonio. Dal matrimonio nascono cinque figli di cui uno, Sebastiano, muore a 2 anni nel 1904. Giuseppe lascia a Vasto la vedova e quattro figli: Michele di 9 anni, Concetta di 5, Anna di 3 anni e Sebastiano di un anno.
Carmine La Verghetta di Francesco e di Errica Suriani nasce a Vasto il 13 marzo del 1886, si sposa il 22 ottobre 1910 con Teresa Raspa di Sebastiano. Non ha avuto figli. Carmine lascia a Vasto la vedova.
Luigi Di Spalatro di Nicola e Filomena Spadaccini nasce a Vasto il 21 maggio 1872, si sposa il 5 dicembre del 1896 con Teresa Del Bonifro di Ferdinando. Dalla loro unione nascono sei figli. Tra questi Maria Saveria morta nel 1901 quando aveva un anno e Sante morto nel 1904 anche lui ad un anno. Luigi lascia a Vasto la vedova e 4 figli: Serafina di 16 anni; Paolo di 14; Nicola di 11 anni e Sante di 7.
Cesario Suriani di Giuseppe e Rosalia Roselli nasce a Vasto il 2 dicembre 1878, si sposa il 7 novembre del 1908 con Teresa Roselli fu Cesario. Dal matrimonio nasce un figlio. Cesario lascia a Vasto la vedova e il figlio Giuseppe di 2 anni.
Pietro Marchesani di Antonio e Maria Grazia Spinelli nasce a Vasto il 6 novembre 1866, si sposa il 31 marzo 1889 con Rita Zappacosta di Vincenzo. La loro unione genera cinque figli. Pietro lascia a Vasto moglie e figli: Antonio di 23 anni, Vincenzo di 19, Incoronata di 16 anni, Maria Michela di 14 e Giuseppe di 11 anni.
Vincenzo Cicchini di Francesco nasce a Vasto nel 1878. Non risulta che abbia contratto matrimonio. Il 30 novembre 1896 chiede il rilascio del passaporto. Lascia a Vasto i genitori.
Vincenzo Cicchini di Domenico e Giovina Mattucci nasce a Vasto il 20 giugno 1882 e non risulta sposato. I contatti con la Compagnia ferroviaria per le indennità sono tenuti direttamente dal padre che è in America.
Giuseppe Cicchini di Luigi ed Eugenia Stivaletta nasce a Vasto il 22 gennaio 1890. Beneficiaria dell’indennizzo è la sorella minorenne Annunziata, assistita dal fratello Vincenzo e dal nonno Giuseppe fu Francesco Stivaletta.