ROMA – Sono 40mila finora, ma il loro numero negli ultimi giorni sta crescendo di circa 10mila al dì, le firme raccolte dalla petizione nazionale (https://chng.it/zVC8sWyT75) lanciata da CIA Agricoltori italiani per difendere grano e pasta italiani, con la richiesta al governo di attivare misure che tutelino i consumatori e permettano ai produttori cerealicoli di coltivare grano in condizioni migliori di quelle attuali.
«Le adesioni cresceranno ancora – dichiara Gennaro Sicolo, presidente di CIA Puglia e vicepresidente nazionale – porteremo quelle firme sul tavolo del ministro Lollobrigida: è ora che la sovranità alimentare si trasformi da slogan vuoto a politiche concrete».
«La situazione è semplice e drammatica – aggiunge Cristiano Fini, presidente nazionale di CIA – con i prezzi riconosciuti ai produttori, le aziende agricole non riescono a coprire i costi di produzione. Il valore e la redditività devono essere redistribuiti più equamente lungo la filiera. Dobbiamo cercare – precisa – di fare più attenzione rispetto ai grani che vengono importati. La filiera si rafforza se crescono anche il settore primario e la produzione italiana, altrimenti il rischio è che la scarsa redditività costringa le imprese italiane del comparto a rinunciare a seminare grano, con una crescita della nostra dipendenza dall’export e la perdita di posti di lavoro».
Le quotazioni del grano duro italiano, in meno di un anno, sono passate da 580 euro/tonnellata del giugno 2022 agli attuali 360 euro/tonnellata. Mentre il valore riconosciuto ai produttori italiani diminuisce, il prezzo di pane e pasta aumenta. Sul crollo delle quotazioni, incide l’arrivo massiccio in Italia di grano proveniente dall’estero, in quantità crescenti dall’Ucraina.

«Il grano ucraino ha un prezzo inferiore, ed è quindi molto appetibile per le industrie molitorie e quelle della pasta, – dice Angelo Miano, presidente CIA per la provincia di Foggia, l’area che detiene il primato della produzione di grano duro in Italia. Costa meno di quello italiano perché ha costi di produzione inferiori ai nostri. In Ucraina, inoltre, non vigono le normative Ue sull’uso di pesticidi e sugli standard di qualità e sicurezza alimentare. Non è concorrenza tra poveri, perché a essere ricchi e ad arricchirsi ancora di più sono soltanto le grandi aziende produttrici che in Ucraina hanno il controllo totale della produzione cerealicola del loro Paese».
«Non è accettabile che gli agricoltori italiani siano immolati sull’altare di interessi politico-diplomatici legittimi, ma causa di gravissime ripercussioni sia sui produttori che sui consumatori, – incalza Sicolo -. Può definirsi “italiana” la pasta che viene realizzata senza utilizzare grano duro italiano? È una domanda alla quale stanno rispondendo i consumatori, sottoscrivendo in massa la petizione. La nostra mobilitazione sta diventando sempre più estesa perché a rischio non è solo il futuro della filiera grano-pasta, ma anche la salute dei nostri figli. C’è un apparente paradosso a dominare la scena: la materia prima è sempre più deprezzata, anche a causa dell’importazione massiccia di grani esteri che spingono verso il basso le quotazioni del frumento italiano, ma la pasta nei supermercati costa sempre di più. Le grandi marche stanno “mietendo” profitti in crescita esponenziale, mentre le aziende cerealicole sono in crisi».
«Non contestiamo la necessità di importare una quota di grano dall’estero per coprire parte del fabbisogno industriale –conclude il presidente Cia Puglia Sicolo – ma temiamo che quella quota si avvii a essere maggioritaria e che l’aumento incontrollato delle importazioni porti alle estreme conseguenze una dinamica già in atto: la riduzione progressiva della produzione di grano italiano, la chiusura di centinaia di aziende cerealicole e la perdita di migliaia di posti di lavoro».