di Mario Biscaglia*
VASTO – Un grande, unico emozionante teatro all’aperto. Dove spettatori e protagonisti si fondono in mille emozioni, colori, storie piccole e grandi, tragiche ed epiche. Oggi Vasto è al centro del mondo sportivo. Decine di televisioni con milioni di appassionati incollati davanti alla tv. Una grande festa in piazza Rossetti dalle 9 con Giroland. Lo start alle 11:40.
Famiglie, semplici curiosi, passionali amanti delle due ruote allo start della terza tappa del Giro d’Italia numero 106 che porterà la carovana a Melfi, in Basilicata, nella terra di Federico II, dopo quasi tre giorni in Abruzzo. E dove ritornerà per la settima frazione, tra le meraviglie del Gran Sasso. Una cartolina che unisce cultura, sport e tradizioni. La corsa forse non più dura del mondo ma di sicuro nel paese più bello, si diceva un tempo. Uno slogan poi ripreso il giorno della presentazione.
Il Giro rappresenta un sogno per tutti. Lo si legge negli occhi dei bambini che possono quasi toccare i loro eroi su due ruote che si inerpicano lungo salite impossibili, scattando in piedi sui pedali. Per i tifosi che cerchiano in rosso il passaggio della corsa. Per gli stessi corridori che coronano le fatiche di una vita. Per le autorità che propagandano le bellezze della propria città.
La corsa a tappe rosa rappresenta qualcosa di anomalo nel panorama sportivo. Distante anni luce dal chiacchierato calcio. Nel ciclismo non si tifa contro, ma per qualcuno, manca l’odiato var che fa imbufalire con puntualità svizzera gli appassionati della pelota e dove non ci si azzuffa per un rigore non dato.
Il ciclismo è lo sport democratico per antonomasia. Non si paga un biglietto e non si assiste a uno spettacolo per intero. Ma solo quell’attimo fuggente lungo un tornante, in rettilineo, allo sprint. Un brevissimo momento che rimarrà impresso per sempre. Proprio come il grido del bambino tra le braccia del papà che vede quasi passargli accanto quel belga dal nome impronunciabile vestito di rosa. Il simbolo del primato indossato per la prima volta nel lontano 1931 dalla leggendaria Locomotiva umana, Learco Guerra.
L’amore per il ciclismo è innato in chi ha qualche anno in più. Ricorda quel bene inestimabile della “macchina a pedali” con la quale ci si muoveva negli anni Cinquanta. Simbolo di ricchezza nella povertà per chi ne possedeva una. Coccolata, venerata, protetta, nascosta per timore che potesse essere rubata. Un amore vero, passionale che il football non potrà mai capire né conoscere. L’Abruzzo poi ha un legame centenario con il Giro. Presente già nella prima edizione del 1909 con la seconda tappa, la Bologna-Chieti e la successiva partenza alla volta di Napoli. Un amore che si rinnova con vicendevole fortuna e passione.
Non resta che ritrovarci più tardi in piazza Rossetti e buon Giro a tutti.
*Giornalista sportivo