di Ramiro Baldacci*
ROMA – Nel 2070 sono 922mila 484 gli abitanti attesi dall’Istat in Abruzzo nell’ipotesi mediana (nell’ipotesi peggiore sarebbero 788mila). Negli anni che ci separano da qui al 2070, se non ci saranno interventi mirati e incisivi, l’Abruzzo perderà oltre 358 mila abitanti e si ritroverà di fatto con una provincia in meno (il valore medio degli abitanti per provincia in Abruzzo è di 297 mila).
L’analisi dei dati pubblicati dall’Istat conferma il progressivo declino demografico della regione, con un saldo naturale in caduta libera e un flusso migratorio incapace di compensarne l’andamento.
Quello che in Italia, secondo le previsioni Istat, si realizzerà nel 2049 (ossia che i decessi doppieranno le nascite), nel 2022 in Abruzzo è già diventato realtà: 8.014 nuove nascite a fronte di 16.756 decessi.
Il saldo naturale determina in Abruzzo una perdita di oltre 8.700 abitanti nel solo 2022, pari a comuni delle dimensioni di Pianella in provincia di Pescara o di Mosciano Sant’Angelo in provincia di Teramo. Anche il tasso di mortalità in Abruzzo raggiunge il valore di 13,2 per mille abitanti, il settimo più alto di tutta Italia, mentre il tasso di natalità si ferma al 6,3 per mille.
Viene così naturale fissare l’attenzione sulla condizione femminile all’interno della regione. Il numero di figli per donna si ferma in Abruzzo al valore medio di 1,18, al di sotto del valore italiano (1,24) e lontano dalla quota necessaria a garantire un ricambio generazionale. Anche l’età delle donne al primo parto è la quinta più alta d’Italia, pari a 32,8 anni.
Questo deriva presumibilmente dal fatto che le condizioni del lavoro femminile nella regione sembrano particolarmente deficitarie, con solo il 46,7% delle donne coinvolte nel sistema lavorativo, al di sotto della media italiana che si attesta al 50% ed è una delle più basse in Europa.
L’Abruzzo non è una regione popolata da giovani. L’età media dei suoi abitanti è infatti di 47,2 anni, al di sopra dell’età media italiana. Anche la composizione della popolazione abruzzese per il 2022 vede i giovani fermi all’11,9% della popolazione, ossia a meno della metà della popolazione over 65 che viaggia ormai su percentuali del 25,3% ed è destinata inevitabilmente a crescere nei prossimi anni.
Inoltre, ciò che colpisce di più i giovani della regione è la mancanza del lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora infatti la percentuale del 30%, non consentendo a 1 giovane su 3 di ottenere quell’indipendenza economica necessaria a costituire una propria famiglia. L’età media di uscita dal nucleo familiare si attesta infatti sui 29,9 anni, molto più alta che nel resto d’Europa.
Un modello sociale di questo tipo non è sostenibile, soprattutto se si attuerà un’autonomia regionale differenziata da un punto di vista economico. In breve tempo, la popolazione che lavora non sarà più in grado di sostenere il numero di anziani sia come sistema previdenziale che come sistema sanitario, non ricevendo un adeguato ricambio dai giovani in ingresso nel mondo del lavoro, che sono sempre di meno.
I dati del 2022 vedono ancora una volta un saldo di migrazioni interne negativo, il che vuol dire che sono uscite molte più persone verso le altre regioni di quante ne siano entrate (Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna, le destinazioni preferite).
L’unico elemento positivo riguarda il saldo migratorio dall’estero, con quasi 8mila stranieri che sono entrati a far parte della popolazione abruzzese (a fronte dei 3mila e 300 che sono tornati all’estero). Questo numero, però, non ha impatti diretti sulla natalità, che continua a decrescere.
Infatti, le coppie straniere che entrano in Abruzzo si trovano ad affrontare le medesime difficoltà che frenano le coppie italiane dal costituire una famiglia, bloccate quindi dalla mancanza o dalla precarietà del lavoro, dalla difficoltà di acquistare una casa o di accedere a un mutuo con tassi vertiginosamente sempre più alti, dall’assenza di servizi sociali a favore della famiglia. Ecco perché le coppie straniere acquisiscono velocemente le abitudini demografiche delle coppie italiane, avendo spesso anche un supporto in meno dovuto all’assenza dei nonni, rimasti nel paese di origine, e che invece rappresentano un pilastro della famiglia italiana.
Questa mancata compensazione del flusso migratorio rispetto al calo della natalità viene confermata in maniera particolare nella provincia dell’Aquila, dove pure si registra la presenza di ben 23mila residenti stranieri, pari all’8,01% della popolazione, il dato e la percentuale più alta dell’intero Abruzzo.
Infatti, pur a fronte della crescita del tasso migratorio, la provincia aquilana nel solo 2022 ha perso un numero di abitanti pari ai comuni di Pescasseroli o di San Vincenzo Valle Roveto, che contano entrambi circa 2100 abitanti.
Anche a L’Aquila, il riflesso di questa situazione lo troviamo nella composizione della società che vede una percentuale di anziani pari al 26% (in Italia nel 2022 è stata del 24,1%) e l’età media che ha già raggiunto i 47,6 anni, la più alta d’Abruzzo e la trentasettesima in Italia. Questo vuol dire che è in corso un assottigliamento generazionale derivante da un trend consolidato nel tempo che porterà la popolazione aquilana a non avere in breve tempo futuri “potenziali” genitori, e quindi un numero di nascite in continua decrescita.
A L’Aquila si registra il tasso di occupazione femminile più basso di tutto l’Abruzzo, pari al 45,3%, anche il numero di figli per donna (1,16) e l’età media delle donne al primo parto (32,9 anni) sono tra i peggiori dell’intera regione. Una recente indagine afferma che le donne italiane vorrebbero fare almeno 2 figli a testa, ma nella realtà aquilana questo desiderio si riesce a realizzare solo per quasi la metà delle donne.
Il trend si può invertire? Sì, il trend si può invertire. Ma è difficile e richiede tutti gli sforzi possibili. E ogni giorno che passa ci sono sempre meno possibilità che questo si realizzi. Ci sono interventi che devono interessare l’intero territorio nazionale, come quello di una riforma fiscale più equa e basata sul numero dei figli, a prescindere dall’ISEE.
Altri interventi rivestono natura locale. La più importante riguarda la dimensione lavorativa, che deve crescere in Abruzzo e deve essere la leva per trattenere le giovani generazioni all’interno della regione. Poi bisogna prevedere le giuste tutele a livello lavorativo sollecitando gli imprenditori locali a garantire la maternità e la paternità. I servizi sono fondamentali, come una presenza di asili nido adeguata alle esigenze della popolazione e di un’edilizia che tenga conto delle necessità sia delle famiglie che dei giovani che voglio crearne una nuova.
Anche la dimensione scolastica è importante ed è da monitorare costantemente, per garantire un costante ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani, sia attraverso lo sviluppo degli Istituti tecnici sia attraverso un contrasto continuo dell’abbandono scolastico.
Serve l’aiuto di tutti, a partire dalle istituzioni che tanto possono in fare in ogni direzione, un aiuto che sia indirizzato a risolvere uno dei più grandi problemi che colpisce in questo momento tutto il territorio italiano. Grande attesa in questo senso si registra sul modo in cui saranno investiti i fondi del PNRR, che in Abruzzo saranno destinati alla ricostruzione post terremoto per 1,78 miliardi, al potenziamento della Roma-Pescara (stanziati 620 milioni) e a progetti nelle scuole (80 milioni). Se questi soldi creeranno nuove opportunità lavorative e professionali, potranno dare un aiuto importante anche come contrasto al calo demografico.
Sul fronte della natalità, in particolare, serve un aiuto che prescinda da qualsiasi appartenenza politica o confessionale, perché i figli sono un bene comune, sono l’unica vera infrastruttura che possiamo sviluppare per garantire un futuro all’Abruzzo e all’Italia.
*Giornalista e scrittore, Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia