POLLUTRI – Da ieri, sette percorsi a Pollutri durante le giornate FAI di primavera, piccoli scrigni di arte e bellezza, visitabili anche oggi sino alle 19:00.
Intraprendiamo il nostro percorso, seguendo l’itinerario. Partiamo da Palazzo Del Re per ammirare il fondaco di Carlo D’Agostino. Il fondaco era un edificio, o un complesso di edifici, fornito di magazzini; al tempo stesso poteva costituire una sorta di ambasciata ante litteram, o anche una specie di ghetto: ai forestieri che arrivavano in città era imposto l’obbligo di pernottarvi, mangiare, depositare le merci ed effettuare le compravendite e transazioni varie. Entriamo, poi, nella dimora di Ennio Del Re e poi di Enza Del Re per osservarne i vari ambienti ancora oggi abitati dalla famiglia; per questo ci viene chiesto di limitare l’uso della fotocamera. La dimora signorile è tuttavia avvolta in un amplesso di eccezionale bellezza, come dimostra l’unico ambiente che abbiamo potuto immortalare, cioè la camera da letto con un baldacchino del tutto singolare rispetto ai soliti che siamo abituati a vedere. La camera in questione era utilizzata solo quando la consorte di Pompeo Del Re – ci dice il giovane apprendista cicerone – doveva partorire.



Quindi ci dirigiamo alla volta del secondo percorso, da Palazzo Di Girolamo alla chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore. Il primo, sconosciuto alla maggior parte dei cittadini pollutresi, rivela al suo interno una bellissima gradinata affrescata con passamano in stile Liberty, altresì noto come stile floreale, molto in voga tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Dall’interno del palazzo le finestre ci offrono una vista mozzafiato sulle campagne pollutresi. La parrocchia del Ss. Salvatore, invece, di cui si hanno tracce già dal 1324, non già tuttavia come chiesa parrocchiale, presenta una facciata in stile pseudo-romanico ed un interno dalle caratteristiche tendenti al barocco, con richiami neoclassici. L’unica zona ancora affrescata è la cappella del santo patrono, San Nicola di Bari, attualmente in fase di restauro. Abbiamo incontrato anche la restauratrice, Michela Tavano, la quale ci ha detto che “l’affresco – eseguito da Amedeo Trevisonno, artista del XX secolo nato a Campobasso, e raffigurante scene della vita di San Nicola con quattro evangelisti ritratti sui pennacchi – prima dell’intervento mostrava estese mancanze, maggiormente nella parte più alta della cupola causate da infiltrazioni che ne hanno provocato la caduta. Nel 1988 l’artista Amedeo Cicchitti né ha curato il restauro eseguendo, su un intonaco di color neutro, alcuni disegni eseguiti in color sanguigna (rosso) che riprendono in parte quelli realizzati dal pittore molisano e riprodotti a mo’ di sinopie (disegno preparatorio). L’affresco presentava, su gran parte della superficie, problemi di coesione tra muratura, arriccio ed intonachino. Sono stati eseguiti anche numerosi rimaneggiamenti riconoscibili per la superficie granulosa e colori di un tono maggiore. La proposta di intervento consiste nel riproporre disegni preparatori con la medesima cromìa, in tonalità seppia (nero) per completare le spesse porzioni di lacune realizzate in intonaco di color neutro in modo da fornire una lettura scorrevole e più completa dell’intera superficie, ma nello stesso tempo differenziare la porzione di affresco originale colorato con quella che stiamo reintegrando”.













Raggiungiamo poi Palazzo D’Agostino di cui visitiamo entrambe le aree: quella in cui è sito il noto mezzobusto d’argento di San Nicola – un’opera del tardo settecento, di scuola veneziana pur essendo stata realizzata da orafi napoletani, gli stessi che poi fusero il mezzobusto di San Gennaro a Napoli – e la parte di proprietà di Maria Michela e Lilli D’Agostino. Singolare è il ponte interno che congiunge le due zone del palazzo e che si affaccia sul cosiddetto Stretto del barone. Interessante la mostra d’abiti del primo novecento a cura delle sorelle D’Agostino.






Attraversando via San Rocco, un percorso di presepi in itinere, progetto voluto e realizzato dall’orafo Alfonso D’Ippolito, accompagna il nostro viaggio verso Palazzo D’Ippolito, del dottor Maurizio D’Ippolito, di cui segnaliamo la custodia di una statua vestita – ritraente Santa Lucia e conservata nella zona più alta della casa, sin dal 1800, per terrore del brigantaggio – e la presenza di un Fondaco a dir poco meraviglioso sul retro della casa con un cortile che a primo impatto ci colloca indietro di almeno uno o due secoli, trasportando la mente ai racconti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e al Palazzo di Donnafugata (Ragusa) nelle pagine de Il Gattopardo e al romanzo di Raffaele La Capria con Palazzo Medina (Palazzo Donn’Anna a Posillipo) in Ferito a morte. Qui incontriamo anche la responsabile della delegazione di Vasto del FAI Abruzzo, la dottoressa Maria Rosaria Pacilli alla quale chiediamo come sia stato possibile aprire sette itinerari a Pollutri. Lei ci rivela, in realtà, che ve ne sarebbero potuti essere anche di più e dichiara: “Pollutri è stata una scoperta fantastica e non ce l’aspettavamo! Abbiamo scelto Pollutri perché c’è stata buona risposta da parte dei proprietari che ci hanno aperto con generosità e ci hanno poi affiancato durante la preparazione. Un entusiasmo che vogliamo condividere con tutti gli abitanti di Pollutri e con tutti i visitatori. Pollutri è un paese che da solo offre molto, per quanto piccolo“. Poi la dottoressa ci accompagna personalmente a visitare la statua di Santa Lucia e il Fondaco, presso il quale conosciamo Antonio Ranalli, studente dell’ultimo anno del Liceo Classico, Lucio Valerio Pudente di Vasto, e responsabile gruppo giovani del FAI, che ci permette di conoscere questa realtà, composta da ragazzi dai 18 ai 35 anni. Il gruppo giovani condivide gli stessi interessi del FAI, ma con un target più giovanile. Alla guida dei vari gruppi di visitatori abbiamo incontrato, infatti, studenti del medesimo liceo a cui va un plauso per l’impegno profuso.
Le due giornate hanno registrato un grande afflusso e questo è un dato significativo, poiché anche il semplice desiderio di curiosità è motivo di conoscenza. D’altronde, come leggiamo nel primo libro Metafisica di Aristotele, “tutti gli uomini per natura tendono al sapere”. Le giornate FAI, dunque, rappresentano un ulteriore canale che alimenta in noi quella continua tensione verso la conoscenza, tale da trasformarsi poi nel desiderio di conservazione del patrimonio, perché possiamo consegnarlo alle generazioni future.



















