di Gianni Melilla*
LENTELLA – Lentella nel 1950 era uno dei tanti paesini abruzzesi in cui la disoccupazione e la miseria dominavano la vita delle persone. Si emigrava a decine di migliaia dall’Abruzzo verso tutti i Continenti alla ricerca di un lavoro dignitoso. Chi restava, si dava da fare, ma il lavoro non c’era e nelle campagne le condizioni contrattuali erano molto sfavorevoli ai contadini nonostante le prime riforme dell’ex ministro comunista Gullo e del presidente democristiano De Gasperi.
La Cgil di Di Vittorio nel settembre del 1949 lancia la proposta di un grande Piano del Lavoro che si muoveva in tre direzioni: la nazionalizzazione delle aziende elettriche per dare all’Italia l’energia per lo sviluppo industriale ed economico, la bonifica e la trasformazione fondiaria per una profonda riforma agraria per dare la terra ai contadini, un grande sviluppo edile e infrastrutturale per costruire case popolari, scuole, ospedali, fogne, acquedotti, strade, ferrovie, autostrade.
A sostegno di questa proposta di modernizzazione economica e civilizzazione sociale, la Cgil mobilitò milioni di lavoratori e disoccupati. Fu un movimento impetuoso che scosse tutta l’Italia e anche l’Abruzzo.
Anche da noi assunse grande importanza una forma originale di lotta chiamata “sciopero a rovescio”. Praticamente i disoccupati scioperavano andando a lavorare, costruendo strade, coltivando terre incolte, occupando le fabbriche in crisi minacciate dai licenziamenti. Lentella allora aveva circa 1000 abitanti, non aveva l’acqua potabile, non c’erano fognature, il 60% della popolazione era analfabeta, si sopravviveva tra mille stenti.
La Cgil in tutto il Vastese era mobilitata con scioperi a rovescio e a Lentella la Camera del Lavoro e la Federterra con l’appoggio del Pci e del Psi, chiedevano l’applicazione del lodo De Gasperi per una diversa ripartizione delle olive (il 53% del prodotto ai coloni a fronte di un misero 20%), e del decreto sulla massima occupazione sbloccando le pratiche per vari lavori pubblici tra cui la costruzione di una strada di collegamento di Lentella con la Fondovalle del Trigno e la realizzazione dell’acquedotto Lentella-Fresagrandinaria per il quale il Ministero dei Lavori pubblici aveva stanziato 50 milioni.
Viste le resistenze la Cgil chiamò i disoccupati a iniziare i lavori della strada. Dopo giorni di sciopero a rovescio, i disoccupati il 21 marzo manifestavano sotto il Municipio di Lentella presidiato da 6 carabinieri che spararono sulla folla. Furono uccisi Cosmo Mangiocco di 26 anni, e Nicola Mattia di 41 anni. Altri 10 rimasero feriti. Contro questa strage la Cgil proclamò uno sciopero nazionale di 48 ore.
Purtroppo la repressione delle lotte sindacali allora era normale. Un mese dopo Lentella, il 30 aprile 1950, a Celano furono uccisi altri due braccianti. In Abruzzo dal 1950 al 1954 vi furono contro le lotte sindacali ben 607 processi, 7mila 410 lavoratori e sindacalisti processati, di cui 4mila 197 condannati per complessivi 396 anni e un ergastolo.
Ricordare i morti di Lentella e poi di Celano di 73 anni fa, non è una scelta di nostalgia ideologica. No, è un dovere verso chi ha costruito la democrazia italiana, rendendola più giusta e umana.
I diritti sociali non sono stati un regalo, ma il frutto di lotte e sacrifici che non vanno dimenticati. Soprattutto da parte di chi oggi ne usufruisce senza gratitudine nei confronti di chi li ha conquistati.
*già parlamentare