di Fabio Caffio
ROMA – “L’auto italiana non esiste più“, ha detto Luca Montezemolo lo scorso ottobre sollevando il velo dall’accordo FCA-PSA da cui è nata la multinazionale Stellantis, società franco-italiana di diritto olandese. Il gruppo riunisce i marchi Abarth, Alfa, Chrysler, Citroën, Dodge, DS, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Vauxhall e raggruppa gli stabilimenti presenti in 29 Paesi.
L’affermazione di Montezemolo non risulta aver avuto alcuna eco mediatica a significare l’indifferenza e la rassegnazione del Paese nei confronti del suo declino industriale. Senz’altro positivo è tuttavia che il ministro Urso abbia di recente aperto un tavolo di confronto Stellantis-sindacati dichiarando che va perseguito l’obiettivo di “salvaguardare la filiera automotive, asse centrale dell’industria italiana”. Il fatto è che gli stabilimenti italiani del Gruppo hanno notevolmente ridotto la produzione al di sotto delle 500mila auto, quando invece il volume di un milione di auto viene considerato indispensabile al mantenimento delle capacità della filiera italiana.
Gli stabilimenti italiani di Stellantis sono ubicati a Melfi, Cassino, Pomigliano, Modena, Torino, oltre a quelli delle fabbriche Sevel di Atessa (veicoli commerciali) e Termoli (motori termici). Essi riguardano tutti i modelli Alfa, Jeep, Maserati, ed alcuni Fiat. La Lancia Ypsilon è invece fabbricata in Polonia. Col marchio Fiat in Europa vengono anche venduti modelli fabbricati in Turchia e Serbia. Un discorso a parte andrebbe fatto per la Fiat brasiliana che, a quanto sembra, produce modelli di successo, non commercializzati tuttavia in Europa. Ripensando al passato, va detto che la fusione FCA-PSA rappresenta un punto di rottura rispetto a quanto immaginato da Marchionne che, dopo l’unione con la Chrysler, si era prefissato di privilegiare l’italianità di FCA escludendo categoricamente di allearsi coi francesi.
I timori di Marchionne che FCA venisse fagocitata e snaturata si rivelano fondati, essendo in atto un progressivo depotenziamento della produzione italiana e, quindi, del suo indotto. Le statistiche 2022 sono chiare nell’indicare che in Italia resistono, tra le auto da noi prodotte, la 500, la Panda e le Jeep, mentre l’Alfa ha numeri bassi. Aumentate invece le vendite dei modelli Peugeot. Allarma, soprattutto sentir parlare di cessazione della produzione in Italia di modelli popolari come 500 e Panda che hanno segnato la storia della nostra industria. Costruire utilitarie di piccola e media cilindrata come la Punto non sembra più un obiettivo del comparto italiano di Stellantis. Ma di ciò si sono avvantaggiati i marchi che hanno produzioni simili.
Un dato incontestabile è che, mentre la produzione italiana, furgoni compresi, del 2022 è stata di circa 700mila unità, quella spagnola ha raggiunto i due milioni, a fronte di 3 milioni della Germania e un milione 500mila della Francia. L’export di autoveicoli dall’Italia vale 12,9 miliardi di euro, mentre invece l’import è di 18 miliardi. Tale situazione si riflette sulla produzione di Stellantis. Gran parte delle Peugeot circolanti in Italia vengono dalla Spagna; egual cosa per le Ford e le Citroen. Di italiano nella Fiat sono rimaste la 500 e la Panda.
La Jeep è ancora il pezzo forte dell’attività della fabbrica di Melfi, ma vari fattori negativi si vanno delineando. L’Alfa appare oggi come un marchio che potremmo dire in crisi di identità, avendo scelto Stellantis di confinarla nel settore Suv. Tanto per dire, la spagnola Cupra (marchio sportivo Seat) ha superato l’Alfa nel 2022. La gloriosa Lancia – antesignana, con le sue sportive da rally, della Cupra – sopravvive nella sola Ypsilon assemblata in Polonia. Stellantis annuncia spesso nuovi modelli Lancia e Fiat, ma poi si viene a sapere che saranno costruiti in Spagna o in Polonia (dove dovrebbe andare anche la “Panda”). Intanto, l’automotive spagnola annuncia nuovi “trofei”, come lo spostamento dalla Turchia della Fiat “Doblò”, la prossima produzione di un modello Jeep e, persino, della nuova Lancia “Aurelia”.
La crisi dei microchip ha sicuramente penalizzato gli stabilimenti italiani e, apparentemente, anche gli altri di Stellantis ubicati in Francia e Spagna. Non conosciamo però in che misura questo sia avvenuto, nel senso che non sappiamo se Stellantis abbia sacrificato maggiormente l’Italia. La morte di Marchionne ha indubbiamente privato l’auto italiana di uno strenuo difensore. La proprietà di FCA, intenzionata a razionalizzare la produzione del Gruppo, è parsa non seguire le scelte coraggiosamente adottate dal suo storico manager. Forse c’è anche una sua difficoltà a colloquiare con la politica. Certo, non favorisce il dialogo l’inveterato pregiudizio che considera la Fiat essere stata eccessivamente beneficiata dai governi passati. Non a caso, un vecchio pamphlet di Scalfari (Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Laterza, 1961), scritto quando in Fiat comandava Vittorio Valletta, intitolava un suo capitolo “Fiat Voluntas Mea”.
D’altronde, quando nei primi anni Duemila la Fiat visse una sua grave crisi, il governo Berlusconi rifiutò di finanziare l’azienda con intervento pubblico. E che dire del fatto che nel 2015 le nostre forze di polizia, con una gara europea, acquistarono 4000 Seat Leon? Ora, nel momento delle scelte della Ue sulle caratteristiche dell’auto futura e della crisi continua dei microchip, tanti nodi vengono al pettine. Sopravviverà la filiera automotive italiana, nata in tempi lontani ed ora sovradimensionata rispetto al ruolo assegnato all’Italia nella geopolitica dell’auto? Produrremo solo qualche centinaia di migliaia di auto ad alto valore aggiunto come Maserati e Suv? O cercheremo in extremis di fermare il declino?
La nascita di Stellantis risponde a logiche economico-industriali incontrovertibili. Purtroppo la fusione tra FCA e PSA appare essere squilibrata dal fatto che lo Stato italiano non c’è in FCA, mentre quello francese partecipa a PSA. Il problema è però un altro. Tra Italia e Francia – che dovrebbero essere alleati nel perseguimento di paritari interessi industriali, finanziari ed occupazionali – c’è un terzo incomodo: la Spagna che beneficia dell’efficienza e del dinamismo del suo apparato produttivo il quale, paradosso dello storia, fece i suoi primi passi con il divorzio tra Fiat e Seat maturato all’improvviso nel 1981.
Storia triste, la Fiat é morta! Hanno già iniziato a prendere auto francesi e ad applicargli sopra il logo Fiat (vedi Doblò e Ulisse e il quadriciclo topolino) diventerà come il gruppo VW dove sono tutte VW ricarrozzate con loghi diversi ( la Cupra spagnola? Nei vostri sogni! É una Volkswagen tedesca!) .
Ve la immaginate una Citroen con lo scudetto Alfa? Che fine ingloriosa! A sto punto era meglio che finisse ai tedeschi anni fa o chiudesse i battenti…
Fastidiosa la Polizia ma di più le auto assegnate ai politici che si vedono in TV, tutte nuovissime e straniere