di Nicola D’Adamo
Quotidianamente sul web troviamo persone che con un certo snobismo fanno sfoggio del “loro” dialetto vastese! Una sorta di moda per marcare le radici e per rendere il pensiero più chiaro con la “lingua del cuore”.
Per esempio uno che attraversa le strisce pedonali digitando sul cellulare e non guardando alle auto che arrivano, si guadagna il simpatico appellativo di “nu ‘mbambalete” (imbambolato), termine che ha una forza espressiva di gran lunga superiore al corrispettivo italiano.
Questo uso del dialetto abbastanza frequente sui social ha accentuato negli ultimi anni la necessità di salvare – o cercare di salvare – il “dialetto vastese” e di fissare un po’ di regole.
Ma l’operazione non è facile e merita alcune riflessioni, vista la confusione che regna in materia.
La prima è: quale tipo di “dialetto vastese” vogliamo salvare? La domanda è d’obbligo perché oggi a Vasto si parlano tre dialetti: il primo, “lu Uastarele”, lingua dei nostri padri ancora parlato da un po’ di persone per lo più anziane; il secondo, “lu Uastarole”, lingua degli studenti del dopoguerra e della borghesia del tempo, una sorta di “abruzzese medio”, oggi parlato da molte persone; e infine il terzo, “lu Vastese” degli ultimi anni: la lingua dei nostri figli nati dopo gli anni ’80, arricchita dall’apporto dei dialetti del comprensorio.
Questi tipi di dialetti sono a ben vedere tre lingue diverse, tre codici espressivi differenti: ognuno dei quali con propria grammatica, sintassi, vocabolario ecc. Ciò significa che necessitano di tre differenti lavori di ricerca.
Ma siccome il dialetto in via di estinzione è “lu Uastarele”, vale a dire la lingua antica dei nostri padri, secondo molti il lavoro di salvataggio va fatto su questa antica versione del dialetto locale, aggiornata ad oggi. Anche perché il numero di noi “native speakers” si riduce di anno in anno.
Stabilito questo, bisognerà elencare le ricerche da fare e i materiali da produrre, che in linea di massima sono quelli tipici delle lingue straniere. Vale a dire:
- Realizzare un Vocabolario “Vastese-Italiano” con trascrizione fonetica (usando l’Alfabeto Fonetico Internazionale), molta fraseologia e magari anche le etimologie;
- Vocabolario “Italiano-Vastese” (anche con trascrizione fonetica);
- Versione online dei suddetti vocabolari con l’audio per la pronunzia delle parole;
- Redigere una Grammatica del dialetto vastese;
- Stimolare la produzione di opere letterarie in tale dialetto (commedie, poesie, racconti e altro) e registrazioni in video delle stesse. (Lo stimolo potrebbe giungere anche da concorsi letterari o da tesi universitarie ecc. ).
- E se si vuole insegnare, preparare tre libri di testo per un corso triennale di dialetto fornito anche di audiovisivi (tipo materiali di lingue per i tre anni della Scuola Media).
Nel produrre questi materiali in dialetto “Uastarele” bisogna tener conto di alcuni concetti. Oggi in quasi tutti gli appassionati di dialetto c’è la tendenza a riprodurre i suoni e i termini, infarciti da frequenti dittongazioni, del tempo di Luigi Anelli, senza alcun aggiornamento ad oggi della fonetica, della terminologia e dell’impianto sintattico: ciò è assolutamente sbagliato!
Le lingue sono “dinamiche” e si evolvono nel tempo, per cui il suggerimento è di partire da “lu Uastareule” di fine ‘800, ma di fissare, di fotografare tale varietà linguistica aggiornata ad oggi (es. Uastarele, non Uastareule). Così facendo si offre a linguisti e dialettologi del futuro la possibilità di studiare come si è evoluta la lingua dei padri nel corso di un secolo e mezzo, aspetto che a livello scientifico non è cosa di poco conto. Anzi bisognerà aggiungere anche i neologismi e le le ultime acquisizioni linguistiche (per es. lu cilluluere, il cellulare).
Da quanto enunciato, si evince che il progetto per il salvataggio di “lu Uastarele” non è cosa facile, ma non è neanche una “mission impossibile”. Bisogna rendersi conto che è un’operazione complessa che richiede competenza, attenzione e un approccio a 360 gradi. Anche perchè i tentativi parziali, fatti finora, non hanno sortito gli effetti sperati.
Fondamentale sarà trovare chi si assumerà la responsabilità del progetto, vale a dire la persona (o associazione/ente) che cercherà le necessarie coperture finanziare (tra Comune, Provincia, Regione, Scuole, Università o altri canali) e organizzerà un team con la presenza di un accademico, che fissi i criteri scientifici della ricerca, e di un gruppetto di appassionati che poi si accollerà il lavoro di “produzione”, che si prevede pesante, lungo e difficile.
Ma anche se la mole di lavoro scoraggia molti, è opinione diffusa in città che il salvataggio di “lu Uastarele” va fatto.
Il dibattito è aperto.
Bravo , condivido in pieno le sue affermazioni. Il nostro dialetto dei padri va salvato. A me,che da più di 50 anni vivo fuori da Vasto, manca; quando torno e trovo ancora qualche mio amico coetaneo mi esercito, ma mi accorgo che alcuni termini li ho dimenticati. Se fossi più giovane mi offrirei per collaborare alla realizzazione della sua idea. Coraggio vada avanti.
Buongiorno, parlo e capisco ancora il dialetto di mia nonna, con le dittongazioni. Il problema sono i giovani, che percepiscono il dialetto come vergognoso, mentre dovrebbero passare a concepirlo come lingua del paese, della comunità.
È opportuna una azione scolastica sin dalle elementari attraverso non solo anziani, ma persone più giovani abituate a parlarlo.
Intercettare un po’ di soldini e attuare progetti scolastici che abbiano come centro nomi di pesci, piante paesaggio etc.
Valorizzare il dialetto in programmi radiofonici, insegne dei negozi, canzoni da insegnare all’asilo. Qualche piccolo festival estivo ben pubblicizzato. Qualche cantante giovane i rap dialettale, come a Napoli.
Prima di ogni disquisizione filologica il dialetto deve essere trasmesso dai nonni ai nipoti a associato a messaggi positivi di identità, tradizione, tipicità, radici. Naturalmente tutto il contrario dei valori che oggi si spacciano ai giovani.