di Fabrizio Scampoli
VASTO – Faccia un passo avanti chi, tra noi boomers appassionati di calcio d’antan, non ricorda il gol di Pelé nella finale dei Mondiali il 21 giugno 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico. O’ Rey si arrampicò in cielo, staccando il granitico Tarcisio Burnich da Udine e il Brasile vinse la Coppa Rimet per 4-1.
Piansi, come tutti i bambini italiani, per tre giorni, ma questa è la prima immagine che mi sovviene quando penso a Pelé, poeta del calcio protomoderno e unico a vincere tre titoli mondiali. A me impressionavano molto anche il suo record di mille gol, le sue incredibili rovesciate e il calcio bailado di quella fantastica nazionale carioca, che tutti ammiravamo e amavamo.
Ieri Pelé è morto a 82 anni, dopo una vita straordinaria che il calcio ha permesso a un bambino povero che giocava a piedi nudi e con la palla di stracci. Se ne va in questo 2022, nel quale abbiamo già salutato tanti nomi importanti, per ultimo, quasi a porre il suo sigillo in questi giorni di fine anno.
Il calcio da ieri è un po’ più povero, perché è morto un uomo carismatico e di cui tutti sentiremo la saudade: Edson Arantes do Nascimento