Di Fabrizio Scampoli
È stato un inizio di anno scolastico all’insegna della cronaca nera, segnato da continui episodi violenti che vedono come vittime i docenti delle nostre scuole superiori, da nord a sud, nelle realtà sociali ricche e in quelle povere.
Insegnanti ridotti a bersaglio di frizzi e lazzi, nell’esercizio del loro pubblico servizio, privi di ogni strumento di difesa e divenuti obiettivo da colpire per giovani teppisti che frequentano le pubbliche scuole italiane.
Solo negli ultimi giorni abbiamo registrato un docente colpito a un occhio con pallini di gomma esplosi da una pistola ad aria compressa, un altro ferito da un banco alla testa e perfino un professore che ha avuto il coraggio di reagire alle provocazioni di un bulletto colpendolo con un pugno, subendo l’ovvio linciaggio mediatico di TV e giornali.
Certo, nessun docente dovrebbe mai colpire un alunno, ma a maggior ragione dovrebbe essere vero anche il contrario. E ci si chiede quanto abbia dovuto sopportare lo sfortunato docente per reagire in quel modo.
Al di là di questi episodi di cronaca, sarebbe però giusto interrogarsi sulle cause di un fenomeno che sta diventando davvero preoccupante: i sociologi e gli psicologi giustificano questi eventi chiamando in causa lo stress da pandemia e il lungo periodo di didattica a distanza, dimenticando però che fatti simili succedevano anche prima: è come se la scuola fosse divenuta il catalizzatore dei malesseri di tutta la società, che non trova più risposte a tutti questi disagi esistenziali.
E se le radici del problema andassero ricercate nelle difficoltà delle famiglie, prese da drammi lavorativi ed economici, ad educare questi ragazzi? Di certo, negli anni, troppi genitori hanno preferito abdicare al loro ruolo delegando l’educazione dei loro pargoli alla scuola; sicuramente, a tanti ragazzi le regole e l’impegno scolastico vanno stretti e preferirebbero fare altro. Il risultato di questo mix lo abbiamo quotidianamente sotto gli occhi: classi che si coalizzano contro i loro docenti, genitori che spalleggiano i loro figli bulletti, dirigenti che a volte tendono a minimizzare per non avere problemi.
Come se ne esce? In un solo modo: restituendo il ruolo sociale al docente, che svolge il suo lavoro per la società del futuro. Occorre che il Ministero dell’Istruzione e del Merito difenda e protegga i propri insegnanti e punisca gli alunni colpevoli di violenza.
La formazione dei giovani non è possibile se la famiglia non fa la sua parte insegnando ai ragazzi le regole della convivenza pacifica e dell’educazione: ogni patto formativo si basa su questo principio fondamentale. Se non si capisce questo semplice concetto, rischiamo di finire come le scuole americane, con alunni e prof che la mattina passano attraverso il metal detector per evitare le stragi negli istituti scolastici.