CHIETI – I militari dei comandi provinciali della guardia di finanza e dei carabinieri di Chieti hanno eseguito un sequestro preventivo a seguito di un decreto emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal tribunale ordinario di L’Aquila, in relazione ai beni nella disponibilità del proposto, dei propri familiari o la cui titolarità è stata fittiziamente intestata a terze persone in quanto, sulla base degli accertamenti svolti, è stato ritenuto soggetto pericoloso, che ha reimpiegato e/o riciclato il profitto delle proprie attività delittuose attraverso i beni dei quali dispone in valore sproporzionato, rispetto alla capacità reddituale effettivamente dichiarata. Lo fa sapere con una nota Michele Iadarola, colonnello della guardia di finanza di Chieti.
Oggetto del provvedimento sono 3 terreni del valore di oltre 40 mila euro, 18 autovetture con valutazione di mercato stimata in circa 140 mila euro, 5 conti correnti, altre disponibilità finanziarie e 9 società, tutte con sedi nel territorio della provincia di Chieti, riferibili alla gestione di quattro bar, un autosalone, un esercizio commerciale per la vendita di frutta e verdura, una sala giochi e due esercenti altri servizi, il cui valore è ancora in fase di determinazione
Gli esiti delle indagini condotte dai militari teatini, in un distinto procedimento penale pendente alla Dda di L’Aquila, hanno portato l’autorità giudiziaria a ritenere il soggetto gravemente indiziato di essere il promotore e l’organizzatore di un’associazione, operante nel territorio provinciale, finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti nonché autore di reati quali estorsione, lesioni aggravate, resistenza a pubblico ufficiale, porto illegale di armi, con l’aggravante del metodo mafioso e nell’ambito del quale è stato già sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza emessa dal gip di L’Aquila nel gennaio scorso.
Al destinatario della predetta misura di prevenzione patrimoniale sono risultate riconducibili molte attività economiche che le indagini hanno portato a ritenere essere state utilizzate anche quali centrali operative per le riunioni degli associati, spesso intestate a prestanome ma di fatto gestite dallo stesso e che, secondo le contestazioni mosse a suo carico, hanno trovato finanziamento dagli introiti economici provenienti da traffici illeciti. È stato infatti ipotizzato che l’uomo abbia coinvolto tutto il nucleo familiare nella gestione delle proprie risorse nonché altri soggetti a lui molto vicini, provvedendo ad attribuire fittiziamente ad essi la titolarità di diverse imprese.