VASTO – Quindicesimo rinvio a quasi sei anni dalla tragedia. L’hotel Rigopiano di Farindola il 18 gennaio 2017 fu distrutto da una valanga provocata da una scossa di terremoto, nella quale morirono 29 persone.
Il processo ‘Rigopiano’ non riesce ad arrivare – neanche – alla sentenza di primo grado al tribunale di Pescara. Le tre udienze programmate a fine mese, dal 26 al 28 ottobre, slittano a novembre, precisamente il 9, con la discussione della superperizia eseguita dagli esperti del Politecnico di Milano.
La motivazione è che due degli avvocati difensori fanno parte del Foro di Avezzano che, in quei giorni, scioperano per carenza di personale al tribunale.
“Siamo rammaricati“, racconta a Zonalocale Mario Tinari, padre di Jessica e di Marco Tanda, “perché anche lui era un figlio per me. Nell’ultima udienza ad aprile – spiega Tinari – la procura aveva promesso di accelerare le udienze per arrivare a fine dicembre con la sentenza di primo grado. Ma di questo passo non ci arriviamo: a pensar male non ci si sbaglia“.
Il tono di voce di Mario Tinari è pacato perché rassegnato: “Non vediamo la fine – dice -, vorrei solo che fossero accertate le responsabilità”. Tanta delusione e rammarico ma no rabbia, quella non c’è più. È una lotta senza vincitori ma solo con vinti, quella che s’intenta contro la burocrazia. “Ho voluto pensare sempre in positivo, non cerco vendetta né piacere di vedere qualcuno in galera“.
A un padre mancano i suoi figli che nessuna sentenza potrà restituire. “Il problema è mio – aggiunge – si può essere solidali, comprensivi, ma si sopravvive alla giornata. La mia giustizia – precisa – sarebbe far tornare in vita i miei figli. E so che questo non è possibile“.
“Condannato a vita” in un incubo che non avrà mai fine, Tinari ricorda quel maledetto giorno, il 25 gennaio – quindi 7 giorni dopo la tragedia – quando, rimasti in pochi, ha saputo che la sua unigenita Jessica e il ragazzo Marco non ce l’hanno fatta. “Ci trovavamo in una sala grande dell’ospedale di Pescara, – racconta – ed erano rimasti 4 dispersi da recuperare. Sentire il cane che ce l’aveva fatta a sopravvivere, io… fino all’ultimo ho avuto speranza finché non è stato detto a mio fratello che quei 4 erano diventati 2 perché Jessica e Marco non erano più qui”.
“Mi auguro solo che ci siano condanne autorevoli, – parla sempre con voce pacata – ritengo che capacità e impegno siano mancati e non ci sono tuttora. Capisco che amministrare la cosa pubblica non è semplice, soprattutto al giorno d’oggi”, ma a una pena di reclusione Tinari suggerisce un servizio socialmente utile: “Andare a spalare la neve quando una strada è bloccata“.
Tinari tiene a raccomandare una cosa prima di finire l’intervista: “Abbracciate e vivete ogni momento con i vostri figli, questo possiamo dire io e mia moglie”.