VASTO – È un’Italia dalle mille sfaccettature quella che oggi si è svegliata dopo le elezioni politiche. Com’è giusto che sia.
Esultano gli elettori e gli eletti di Fratelli d’Italia che da un 4,35% ottenuto nelle ultime politiche del 2018 oggi supera il 25%. Il partito più conservatore dell’ala parlamentare del centrodestra ottiene una vittoria incontrovertibile che porta il nome di una donna: Giorgia Meloni.
Segretario di partito sarà la prima donna presidente del Consiglio nella storia della Repubblica italiana.
Meloni lo ha detto a chiare lettere ai suoi alleati: “Se FdI risulta primo partito della coalizione, non c’è da discutere sulla leadership”. Spetterà quindi al presidente Mattarella – al secondo mandato, suo malgrado, perché la scorsa legislatura non ha trovato un accordo nemmeno sull’elezione del Capo dello Stato – nominare la prima donna sulla poltrona più importante di palazzo Chigi.
Una “vittoria” dell’ala conservatrice che ha indispettito l’entourage del centrosinistra, fautore ma non autore di riforme in questa direzione se non ai tempi della prima Repubblica.
Dopo la recente nomina della seconda donna presidente della Corte costituzionale, Silvana Sciarra (la prima è stata l’ex ministro di Giustizia, Marta Cartabia), agli occhi del mondo l’Italia che conta, comincia a essere più rosa.
Ma qual è il segreto di questa vittoria che Meloni sapeva già di avere in mano prima ancora dell’apertura delle urne? Sicuramente il fatto di esser stato unico partito d’opposizione dell’ultimo governo tecnico diretto da Draghi. Gli italiani non ne possono più di governi tecnici: ormai la stessa parola rimanda all’idea di tasse e sacrifici. Un voto quindi anche di protesta oltre che ideologico, che ha fatto proseliti addirittura tra i delusi del centrosinistra.
Una coalizione con un Partito democratico in caduta libera, con il segretario Enrico Letta che per la seconda volta si fa “fregare” da Renzi e Calenda che in nome di un fantomatico Terzo Polo in un sistema maggioritario misto non raggiungono la doppia cifra.
Il mea culpa del centrosinistra è di non aver capito in tempo che l’alleanza era da fare con il M5S e soprattutto prima delle elezioni.
Il movimento di Giuseppe Conte ha perso parecchio in questo periodo. Con le precedenti tornate elettorali (europee, regionali e amministrative) non ha mai ottenuto il risultato delle politiche del 2018. La scissione con Luigi Di Maio ha poi fatto pensare al peggio; invece si è rivelato un boomerang all’ultimo momento per l’ex ministro degli Esteri che non ha raggiunto il quorum del 3 per cento. Oggi il M5S è il terzo partito, che vince in Parlamento, con una rimonta in extremis soprattutto nel Sud Italia.
La Lega di Matteo Salvini paga lo scotto di aver fatto cadere due governi per mano del segretario. Cambio di rotta quindi per gli italiani che chiedono stabilità politica. Sono stanchi degli inciuci: l’economia reale è sempre più distante da quella dei palazzi.
FdI ha da oggi una grande responsabilità: quella di soddisfare le richieste dei suoi elettori, cioè di prendere in mano un’Italia che chiede a gran voce riforme economiche e sociali, ma soprattutto di mantenere compatta una maggioranza che oggi si attesta intorno al 44 per cento.