VASTO – Le elezioni politiche del 25 settembre saranno ricordate per essere la “prima volta” per due aspetti principali.
Domani gli elettori che hanno compiuto 18 anni potranno votare per il rinnovo dei componenti del Senato della Repubblica oppure essere già stati nominati candidati nelle liste presentate. Chi alla data delle elezioni risulterà maggiorenne potrà, dunque, esercitare il diritto di elettorato attivo per il Senato, dopo la modifica apportata all’articolo 58 della Costituzione che ha soppresso il preesistente limite dei 25 anni di età. Ciò è stato voluto per dare maggiore rappresentanza dei giovani a Palazzo Madama.
Tutti gli elettori che si recheranno a votare nella sezione d’appartenenza riceveranno dunque dal presidente del seggio entrambe le schede di voto per i due rami del Parlamento.
Chi andrà a votare, però. Perché tra i più giovani è scoppiata, in concomitanza con l’ingresso al Senato, la polemica dei fuorisede. In Italia non esiste una legge che consenta ai cittadini fuorisede di votare nel luogo in cui si trovano per studio o per lavoro, evitando viaggi lunghi e costosi per il rientro alla residenza. Gli elettori fuorisede nel nostro Paese sono circa 5 milioni, quasi tutti compresi nell’elettorato potenziale degli under 35 che è di circa 10 milioni di persone, mentre quello degli over 50 arriva addirittura a 26 milioni.
Il viaggio per rientrare a casa – lamenta la maggior parte di loro – è un disincentivo al voto che colpisce in particolare le giovani generazioni, quelle di cui tutti i partiti parlano ma che ancora non hanno proposto una soluzione. L’Italia, insieme con Malta e Cipro, è tra i Paesi europei che non permette il voto fuorisede.
Altra novità riguarda la composizione del Parlamento che uscirà da queste votazioni, con la presenza di 400 deputati (invece di 630) e di 200 senatori (invece di 315). Frutto di un intricato iter legislativo, il testo di legge costituzionale ha previsto il taglio del 36,5 per cento dei componenti di entrambi i rami del Parlamento.
Approvato in via definitiva dalla Camera nell’ottobre 2019, al Senato il provvedimento non ha avuto la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti nella doppia deliberazione e ha permesso a un quinto dei senatori (71) di richiedere il referendum confermativo, depositato in Corte suprema di Cassazione nel gennaio 2020, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione italiana.
Originariamente il referendum era stato fissato per il 29 marzo 2020, successivamente è stato svolto il 20 e 21 settembre dello stesso anno, a seguìto della pandemia di Covid 19 in Italia. L’esito non ha richiesto un quorum per avere efficacia essendo di tipo confermativo. Si è trattato del quarto referendum costituzionale nella storia della Repubblica Italiana dopo 19 anni dall’ultimo del 2001 che ha visto la modifica del Titolo V, parte seconda della Costituzione (conosciuta come Riforma federalista).
Domani si andrà a votare con il sistema elettorale detto “Rosatellum bis”, dal nome del proponente Ettore Rosato. La legge prevede la possibilità di candidarsi in più collegi plurinominali, fino a cinque, contemporaneamente alla candidatura in un collegio uninominale.
Per favorire la rappresentanza di uomini e donne, nei collegi plurinominali l’elenco dei candidati di ciascuna lista ha dovuto seguire l’alternanza di genere.
Il Rosatellum prevede la ripartizione dei due rami del Parlamento con un sistema misto: gli eletti con il maggioritario a turno unico, quelli candidati con il proporzionale a sbarramento del 3 per cento e il voto degli italiani all’estero.
Per la Camera: 147 seggi col maggioritario, rappresentativi del 37% del totale (prima erano 232); 245 seggi col proporzionale pari al 61 per cento del totale (prima erano 386) e 8 seggi (prima 12) per gli italiani all’estero, pari al 2%.
Infine, per il Senato, 74 eletti con il sistema sistema maggioritario pari al 37% (prima 116), col proporzionale 122 seggi pari al 61% sul totale (prima 193) e 4 eletti (prima 6) dagli italiani all’estero, pari al 2 per cento del totale.