A spasso nel tempo è la nuova rubrica sportiva di Zonalocale: un vero e proprio tuffo nel passato sui momenti più rappresentativi del nostro territorio. Allenatori, dirigenti ed ex atleti realizzeranno con Emanuele Fiore il proprio mosaico di ricordi.
VASTO – E’ stato uno dei protagonisti della vittoria dei campionati 1953-1954 e 1957-1958. Caratteristiche uniche per personalità, coraggio e dinamismo dentro al campo, ma anche persona speciale e dotata di innata simpatia fuori dal rettangolo verde. Peppino Fiore passa alla Vastese nell’estate del 1949 dal Mafalda, squadra del paese dove è rifugiato insieme alla famiglia. Una lunga carriera in maglia biancorossa con la fascia di capitano al braccio e la conseguente carica di allenatore nel 1960 prima di lasciare completamente il mondo del calcio e dedicarsi all’attività commerciale.
Peppino Fiore, come era vissuto il calcio negli anni Cinquanta?
A Vasto lo stadio Aragona era sempre pieno perché lo sport rappresentava l’unica valvola di sfogo per la comunità. In generale posso dire che il calcio era vissuto con più enfasi anche da parte dei giocatori stessi. Ai miei tempi se un calciatore fosse stato escluso dal proprio allenatore avrebbe sofferto. Ora noto tanta indifferenza.
Io iniziai a giocare all’età di dodici anni a Mafalda. Poi militai nella Fiamma, squadra del Movimento Sociale Italiano, con Federico De Mutiis e i fratelli Ciccarone. Da lì poi il passaggio alla Vastese. L’allenatore più importante per me fu Mario Genta, ex terzino del Genoa. Lui mi disse: “Tu sei un mediano nato”. Così presi la maglia numero 4. In squadra con me c’era mio fratello Nicola.
Tanti anni in biancorosso: qual è stata la stagione più emozionante?
L’annata 1955-1956. Ci chiamavano la Fiorentina d’Abruzzo. Questo perché i Viola nella stessa stagione vinsero lo scudetto. Noi, invece, disputammo tutto il girone di andata al primo posto.
La squadra era composta da giocatori provenienti da altre regioni: Bresciani, Zucchini, Michelini, Sambò, Belle, Mariti e Villani. Di Vasto eravamo solo quattro: Io, Raimondi, Palazzo e Notaro. L’allenatore era Bon, un aquilano. Ci allenavamo cinque giorni su sette. Il lunedì riposo e la domenica si giocava. La società pagava vitto e alloggio ai giocatori, più lo stipendio.
Chi conduceva il calciomercato?
Un certo ragioniere Della Penna assieme a Giuseppuccio Ferrara, fratello del presidente Nicola. Giuseppuccio scoprì un gran bel giocatore: Di Bari, proveniente da Casoli. Portò quest’ultimo, me e Mariti alla Sambenedettese per un provino. I marchigiani tesserarono solo Di Bari.
Qual era ai tempi la rivalità più sentita?
Con il Lanciano. Nella stagione 1954-55 riuscimmo a vincere proprio lì. In quella partita Busani parò un rigore a Benedetti, ex calciatore della Roma. Ricordo durante la gara, ero vicino alla rete che ci separava dai tifosi. Un signore disse sottovoce a un suo amico: “Questo ragazzo mi sembra di conoscerlo”. Mi girai. Riconobbi Giovanni Memmo, storico commerciante di Vasto, lancianese doc. Sorridendo risposi: “Sì, sono proprio io”.
La partita terminò 0-1. I tifosi della Vastese ci aspettarono all’uscita del bivio. Fu un vero e proprio trionfo. Per l’occasione prepararono anche alcune bare goliardiche dedicate ai proprio sostenitori del Lanciano.
C’è un episodio che ricorda nel dettaglio?
Un aneddoto divertente mi riporta a Celano. Non eravamo mai stati nella Marsica. Non conoscevamo la strada per raggiungere lo stadio. Era una gara importante per la situazione di classifica: la Vastese aveva 3 punti, gli avversari 4, con un’eventuale vittoria li avremmo superati.
All’andata ci fu un episodio particolare. Il nostro portiere Giovanni Busani, che ricopriva anche il ruolo di allenatore, entrò in maniera scomposta sul centravanti del Celano al quale sputò anche sulla maglia.
Era un calcio in cui si dava e si prometteva. Per cui nella gara di ritorno eravamo tutti preoccupati di una probabile vendetta. In modo particolare Busani, ex Milan. Con la squadra viaggiava spesso Mastro Pietro Mattioli, di professione falegname, uno dei più grandi sostenitori della Vastese.
A quei tempi era difficile che la gente conoscesse i volti dei giocatori. L’unico modo per risalire alla loro identità era dato dal borsone, che ai tempi era più che altro un semplice sacco. Ogni zaino aveva un numero che corrispondeva a quello della maglia, quindi alla posizione in campo. Busani, timoroso di un agguato, disse a Mattioli: “Maestro, prendi il mio sacco”. Il nostro tifoso, ignaro delle vicende passate, orgogliosamente accettò. Un solo gradino riuscì a scendere. Dopodiché fu assalito dai tifosi del Celano (ride ndr).
Non solo. Lo spogliatoio era scoperto. Prima di entrare in campo i tifosi marsicani presero un panno imbevuto di nafta e diedero fuoco. La pezza giunse a noi che, pieni di paura, arretrammo dietro un angolo. Solo Lillino Raimondi, storico terzino della Vastese, ebbe il coraggio di prendere lo straccio e reindirizzarlo ai sostenitori avversari.
La Vastese vinse la Coppa Italia contro la Nuova Cisterna.
Sì, in quell’occasione subii uno dei due infortuni della mia carriera. Zecca, ex giocatore della Roma, mi diede una gomitata. Persi un dente. A Spoleto, un certo Berardi, mi spinse contro un palo. Dissi che lo avrei aspettato a Vasto. Ma non si presentò (ride ndr). Era la stagione 1949/50, campionato di Promozione Interregionale: si giocava in Umbria, nel Lazio, un po’ dappertutto.
Proprio a Perugia accadde un altro fatto particolare
Sì, allo stadio Santa Giuliana. Fine primo tempo: Perugia-Vastese 2-0. Durante l’intervallo alcuni dirigenti umbri ci offrirono del tè. In realtà lo mischiarono con un eccitante. Vincemmo 2-3. Per tornare a Vasto impiegammo moltissime ore. Nella notte qualcuno dormì, io per esempio non chiusi occhio. Riuscii a prendere sonno soltanto alle 15 del giorno dopo. Mi risvegliai il martedì mattina.
Nella stagione 53-54 la vittoria del campionato.
L’ultima partita si giocò ad Atessa. Al ritorno fu un vero tripudio. La cittadinanza ci aspettò per le strade di Vasto. La società mi pagava 5 mila lire, per la vittoria del campionato 12 mila. Premio extra. Altri tempi…