A spasso nel tempo è la nuova rubrica sportiva di Zonalocale: un vero e proprio tuffo nel passato sui momenti più rappresentativi del nostro territorio. Allenatori, dirigenti ed ex atleti realizzeranno con Emanuele Fiore il proprio mosaico di ricordi.
SAN SALVO . Per anni, dal 1975 al 1985, il suo destro ha incantato gli amanti del calcio. Era il fantasista della squadra. Visione di gioco, potenza e dribbling lo hanno reso un’istituzione dello sport sansalvese. Al nome di Nicola Di Santo si ricollegano tanti momenti cult del calcio locale. Dalla Serie C della Pro Vasto alla Serie D del San Salvo. Una carriera nella massima serie dilettantistica e un trascorso nelle serie minori, pur sempre dignitose, nelle vesti di tecnico.
Nicola Di Santo, come è nata la passione per il calcio?
“L’approccio risale ai primi anni Settanta. L’ultimo anno delle scuole medie. Il mio professore di educazione fisica era Piero Palazzo, il quale, vedendomi giochicchiare a scuola, mi portò con sé nelle giovanili dell’Incoronata Calcio. All’età di sedici anni passai alla Pro Vasto. Lì mi aiutò moltissimo il compianto Cenzino Mileno. A lui devo dire grazie per il passaggio in Prima Squadra.
Ricordi il debutto?
“Pro Vasto-Benevento allo stadio Aragona come terzino sinistro. Rimasi in biancorosso fino al 1979, l’ultima stagione nei professionisti, prima del fallimento”.
Poi il passaggio all’U.S. San Salvo
“Sì, nella stagione 1979-80, in panchina c’era Ciccio Ercolano. L’anno successivo Bruno Taverna. Ricordo la vittoria in Promozione e il successivo passaggio in Serie D”.
Come reagì la comunità?
“Entusiasmo alle stelle. La piazza era stracolma di gente. I festeggiamenti durarono per una settimana intera. Per me la soddisfazione più grande è stata quella di vincere senza spendere troppo. Dieci elementi erano di San Salvo, altri di Vasto, come Francesco Salvatorelli, Carletto Fiore, Gio Bosco e Sandro Baccaglini“.
Ricordi episodi particolari di quegli anni?
“Ce ne sono molti. Contro l’Acerrana sono stato uno dei primi, forse il primo in assoluto, ad eseguire la bicicletta, che poi mediaticamente hanno attribuito a Vito Chimenti, ex giocatore del Palermo. Mancavano 4-5 minuti alla fine. Dalla bandierina mi inventai questa giocata. Saltai tre avversari, crossai di esterno destro e misi al centro per il gol di Tonino Bevilacqua. La tribuna di San Salvo scese a festeggiare compatta sotto la rete. Ancora oggi, quando i sansalvesi mi incontrano, ricordano questo episodio ai loro figli.

Per questa giocata, nella gara di ritorno, a fine primo tempo, due giocatori dell’Acerrana mi picchiarono e fui costretto a recarmi al Pronto Soccorso. Noi militavamo nel girone H. Situazioni di questo tipo accadevano spesso. A volte le società volevano che io non prendessi parte agli incontri, ma non ho mai avuto paura, mi sono sempre opposto. Perché se ti temono significano che ti stimano. E difatti per tre anni consecutivi fui eletto miglior giocatore della Serie D campana“.
Ti senti privilegiato per aver vissuto gli anni migliori del calcio vastese e sansalvese?
“I fasti della Pro Vasto sono stati irripetibili. Sono onorato e orgoglioso di averne fatto parte. Mi sono sentito amato e considerato dal pubblico aragonese. Ricordo i dirigenti stessi ci facevano sentire importanti. L’avvocato De Mutiis, che spesso viene ricordato come un personaggio schivo, aveva un cuore d’oro.
Conservo solo una delusione di quelle annate in biancorosso. Nella stagione ’77-78 avevo giocato diciassette partite. Poi di un punto in bianco fui spedito in tribuna. Ci rimasi malissimo”.
Cosa accadde?
“Andai a chiedere spiegazioni al direttore generale De Mutiis. La Pro Vasto aveva ingaggiato due giocatori provenienti da squadre di Serie A: Ulderico Tretter ed Elio Garavaglia. A quei tempi le società della massima serie elargivano compensi ai club che valorizzavano i propri tesserati. Così Garavaglia prese il mio posto. Io ho sempre avuto il mio carattere, fin dagli Allievi, ho sempre comandato in mezzo al campo. Non ho mai avuto scorciatoie, soprattutto in quegli anni. Raggiungevo Vasto in autostop oppure era Luigi Altieri a darmi un passaggio.
De Mutiis mi disse: “Nicola, hai fatto le tue partite? Vedi, io da quei due prendo 200 milioni di contributi se giocano almeno 20 gare”. Io spiegai che avrei potuto far guadagnare molti più soldi più se avessi continuato a giocare. Il direttore disse: “Sì, hai ragione, Nicò, ma quelli sono sicuri, i tuoi li devo ancora vedere” (ride ndr). Erano logiche di mercato. Con il senno di poi non posso che dargli ragione.

Il compagno più forte?
Umanamente e sportivamente Guido Mazzetti, senza dubbio. Ti spiego il perché. Una volta i giovani erano vittime di nonnismo. Ricordo in particolare un episodio. Ero alla terza convocazione. Trasferta a Reggio Calabria. Il capitano mi disse: “Portami il borsone”. Io risposi: “E che sono il tuo facchino?”. Lui era il leader del gruppo per questo si infastidì.
La sera, finita la cena, si giocava a carte. Mi avvicinai al gruppo dei senatori per osservare. “Senti cosa fai? Non ci puoi stare qui” mi avvisò Mazzetti. “Senti, io faccio quello che voglio” risposi senza esitazione . Il giorno dopo vincemmo contro la Reggina per 0-1.
Il martedì seguente, alla ripresa degli allenamenti, Guido mi chiamò. Mi diede tanti consigli durante i vari giri di campo. Io rimasi meravigliato, fu lui a compiere il primo passo nonostante la leadership. Alla fine del percorso mi disse: “Nicola, mi piaci, perché non ti fai sottomettere”. Da allora, non nascondo che qualche volta gli ho portato anche il borsone” (ride ndr).