Zonaglobale è la nuova rubrica dedicata all’estero seguita dal nostro Lorenzo Scampoli, studente vastese dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti e Pescara, che quest’anno è in Finlandia per il Progetto Erasmus.
Un’occasione da non perdere per conoscere e farti conoscere il modus vivendi di questo Paese non molto lontano dal Circolo Polare Artico e, soprattutto, quanto c’è di simile e quanto di diverso tra il nostro bell’Abruzzo e un luogo con abitudini così distanti dalle nostre.
Cosa scoprirai in questa puntata?
In Italia nelle ultime settimane si discute sull’utilità del Reddito di Cittadinanza. Una parte degli italiani infatti ne critica il “meccanismo”, ritenuto non studiato a dovere e da perfezionare, un’altra parte del Paese invece ritiene che sia un’ottima misura, indispensabile con i tempi che corrono: inflazione, guerra e incertezza dovuta al Covid pesano sensibilmente sulle tasche dei nostri connazionali.
In Finlandia, invece, il sistema del welfare è costruito diversamente, quasi in maniera opposta. Questo Paese è infatti dotato di una vasta gamma di sussidi per disoccupati e famiglie. E’ uno dei paesi migliori per crescere una famiglia, secondo le persone che ho conosciuto. La mamma di un mio amico mi racconta che qui le madri possono rimanere a casa con il loro bambino per quasi un anno godendo di stipendio pieno e benefici eccellenti. Inoltre, quando un genitore con un bambino in carrozzina utilizza i trasporti pubblici, viaggia gratuitamente nella maggior parte delle città.
Nel 2017 il governo finlandese varò un esperimento sociale senza precedenti in Europa: per i due anni successivi duemila cittadini ebbero modo di ricevere un reddito di base di circa 560 euro al mese, a prescindere dalla loro condizione lavorativa. Il progetto, introdotto dal governo, fu avviato al fine di verificare gli effetti di un reddito universale e “incondizionato” sui livelli di occupazione e di benessere dei cittadini. Fu realizzato anche con lo scopo di “snellire” il sistema burocratico.
In Finlandia, infatti, il sistema di ammortizzatori sociali e sussidi per chi non lavora (l’8% della popolazione) è particolarmente articolato e in qualche modo “generoso”. Rischia dunque di generare un disincentivo all’occupazione (critica che spesso si sente anche nel nostro Bel Paese), poiché molti finlandesi disoccupati preferiscono continuare a percepire il sussidio anziché impegnarsi nella ricerca di un nuovo impiego. Il reddito di base mirava a eliminare alla radice questo problema, in quanto fu destinato a un campione di cittadini tra i 25 e i 58 anni indipendentemente dalla loro condizione lavorativa: disoccupati, inattivi, ma anche lavoratori pubblici, imprenditori privati, studenti. Proprio tutti.
Chi durante i due anni trovò lavoro, non fu costretto a rinunciare ai 560 euro. Nessuno fu altrettanto tenuto a dichiarare in che modo spendeva il suo assegno mensile, né a dimostrare che stava facendo tutto quanto in suo potere per rientrare nel mercato del lavoro. In Italia funzionerebbe?