di Fabrizio Scampoli
La notizia è piovuta dal cielo e, direbbe De André, “come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca”: per arginare la diffusione ormai dilagante dei cinghiali nelle aree verdi viene autorizzata dalla Regione la caccia con visori notturni e lampade e con l’uso di arco e frecce. Che strano, gli archi li usavano gli indios delle Americhe e i visori notturni gli incursori del COMSUBIN e i piloti dei carrarmati: entrano adesso congiuntamente nel corredo dei cacciatori che cercheranno di abbattere gli ungulati che ormai s’aggirano praticamente ovunque.
Senza scomodare l’elfo Legolas e il suo arco, protagonista del Signore degli Anelli, o la mitologica dea greca della caccia Artemide, o le celeberrime Amazzoni, che si mutilavano un seno per meglio poter scoccare la freccia, sembra francamente difficile che si possa risolvere questo problema con arco e frecce.
Qualcuno, in realtà, le cose le aveva cambiate nella storia usando archi e dardi: ad esempio, gli arcieri inglesi che ad Azincourt distrussero la cavalleria francese e il suo mito letterario, e anche il leggendario Robin Hood, incubo dello sceriffo di Nottingham, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, e perfino il buon Guglielmo Tell, arciere eroe della Svizzera dalla mira proverbiale.
Ai nostri impavidi cacciatori auguriamo la medesima fortuna, un po’ come capitò al buon Ulisse che da ragazzo uccise un cinghiale e venne riconosciuto dalla sua nutrice Euriclea, a causa della cicatrice, al suo ritorno a Itaca. E a nessuno di loro moderni arcieri di fare la fine del bell’Adone ferito a morte nell’opera di Giambattista Marino.
Certamente, infatti, aggirarsi nottetempo in un bosco con archi e frecce a caccia di cinghiali potrebbe rivelarsi poco salutare. Anche se con i visori notturni a infrarossi.
Che fine faranno i cinghiali feriti? Chi rimuovera’ le carcasse? Adesso il primo arrivato diventa cacciatore? E come la mettiamo coni permessi?
Ad una persona sana di mente non sarebbe mai venuta una idea simile.