VASTO – “Avete taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito”, diceva Santa Caterina da Siena. E la comunità vastese ha fatto proprio questo motto per scrivere a Monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Vasto, in merito al trasferimento di don Gianfranco Travaglini, parroco della concattedrale di San Giuseppe.
“Siamo il popolo di Dio – scrivono nella nota diffusa – che appartiene alla concattedrale di San Giuseppe in Vasto e non solo. Le ultime nomine dell’arcivescovo Forte hanno sicuramente sconvolto la nostra comunità, perché ci vediamo sottratto un padre, un pastore, un fratello che ha dedicato completamente la sua vita a quanti gli sono stati affidati nel 2009.
Noi siamo quelle persone anziane che don Gianfranco ha valorizzato anche con un semplice saluto, facendo capire che le rughe dell’età non sono da scartare, ma sono solo segni di esperienza da mettere anche a servizio della propria comunità. Noi siamo quei padri di famiglia che hanno perso il lavoro, che non sanno come sostenere i propri figli, ma che dopo aver parlato con don Gianfranco abbiamo guardato la vita con più speranza e siamo tornati a casa ringraziando Dio per il dono dei figli con la consapevolezza che il Signore è nella nostra difficoltà”.
“Noi siamo quei giovani che forse non avevamo tanta voglia di andare a messa la domenica ma poi abbiamo conosciuto un prete semplice, capace di scherzare e di farci capire che la nostra giovinezza così irrequieta e così piena di domande può essere una risorsa se messa nelle mani di Dio. Noi siamo quei bambini un po’ distratti che forse fatichiamo anche a seguire le lezioni a scuola, ma quando andiamo a messa da don Gianfranco, lui ci sa spiegare il Vangelo, perché ci fa degli esempi belli e poi insieme ai nostri compagni non abbiamo paura di fare delle domande o di rispondere alle sue perché se noi sbagliamo lui non si arrabbia, anzi ci sorride e ci aiuta a capire”
“Noi siamo quei malati a cui Don Gianfranco ha sempre rivolto uno sguardo particolare, non uno sguardo frettoloso, non ci ha detto parole banali, ma che Gesù sta soffrendo con noi. Noi siamo quei disabili che sono accolti da Don Gianfranco, che ci ha fatto una carezza e che in silenzio ci ha testimoniato la vicinanza alla nostra sofferenza. Noi siamo quegli alunni che a scuola non possiamo fare tutto quello che fanno gli altri però ci siamo sentiti importanti quando i nostri insegnanti ci hanno portato alla fattoria di Don Gianfranco e lì abbiamo potuto fare anche noi la nostra piccola esperienza di lavoro”.
“Noi siamo quei figli ormai adulti che dobbiamo assistere i nostri genitori. Quando ci sembra di scoraggiarci un po’ ci ricordiamo di Don Gianfranco che ci ha insegnato e ci insegna a dare un braccio, un aiuto, un sostegno alle persone anziane come lui fa con i suoi confratelli molto vecchi, senza stancarsi né lamentarsi. Noi siamo quei poveri esauriti che quando andiamo a bussare alla porta di don Gianfranco non troviamo qualcuno che ci manda via e ci dice di non aver tempo, ma con pazienza si ferma ad ascoltare e che sa con mitezza parlarci e dirci che ognuno è prezioso agli occhi di Dio e che noi non siamo degli scarti”.
“Noi siamo quegli zingari che Don Gianfranco ha battezzato perché lui sa che siamo tutti figli di Dio. Noi siamo studenti che hanno sentito parlare Don Gianfranco sulla forza e sull’importanza del volontariato, sul fatto che stare vicino ai più deboli è un privilegio perché è come stare vicino a Gesù. Noi siamo quei genitori non molto in regola con il nostro matrimonio, però abbiamo affidato la cura dei nostri figli a don Gianfranco, perché quando gli abbiamo raccontato la nostra verità lui ci ha accolti senza giudicarci”.
“Noi non capiamo le ragioni di questa scelta – precisa la comunità – non capiamo perché un prete che incarna lo stile indicato da papa Francesco (un pastore con l’odore delle pecore e sempre in uscita) debba essere allontanato dal suo popolo.
In un tempo così difficile, in una società così confusa e cosi sbandata, la Chiesa gerarchica non dovrebbe sottrarre un buon padre. E non si dica che un pastore vale l’altro, così come un teologo non vale un altro. Oggi esistono le macchine, le strade sono anche abbastanza buone, forse don Gianfranco avrebbe potuto tenere la propria parrocchia e spostarsi, se proprio era necessaria la sua presenza in seminario”.
“Sicuramente sono queste le situazioni che determinano l’incomunicabilità tra il popolo di Dio i suoi alti prelati, la distanza tra noi e loro, tra noi e la Chiesa. Se solo ascoltassero di più il popolo di Dio, forse sarebbero più padri e meno governanti.
La Chiesa fa molto grazie all’8 per mille, ma non si potrà più chiedere se non si è disposti ad ascoltare i figli di Dio e ci piace ricordare che lo Spirito Santo soffia anche nel cuore di noi poveri fedeli”, conclude la nota.