C’è davvero di che preoccuparsi. Gli ospedali italiani versano in prognosi riservata e rischiano la paralisi operativa.
Sono 600, da gennaio a metà maggio, i medici dell’emergenza e urgenza che hanno scelto di dimettersi dai Pronto soccorso, dove in media ogni anno accedono tra i 21 e i 24 milioni di pazienti. Se la curva continuerà a essere questa, si calcolano 5mila medici in meno entro la fine del 2022.
La situazione è estremamente preoccupante perché già ora in Italia mancano 4200 tra medici e personale infermieristico da impiegare nei pronto soccorso. Le emergenze più gravi si sono registrate negli ultimi giorni al San Camillo di Roma e al Cardarelli di Napoli, con pazienti abbandonati sulle barelle nei corridoi in attesa di essere visitati. Ma più o meno tutti i nosocomi italiani presentano problematiche simili: strutture inadeguate, aumento di accessi di cittadini con traumatologia minore o con problemi di carattere sociale, infortuni sul lavoro o stradali non gravi che determinano il sovraffollamento delle strutture.
Al recente congresso Simeu, tutti gli operatori sanitari saliti sul palco hanno richiesto al ministro della Salute Speranza un intervento rapido. Il presidente Fabio De Iaco ha perfino chiesto di poter impiegare gli specializzandi dal terzo anno per non rischiare di chiudere delle strutture.
Ma purtroppo l’allarme rosso riguarda proprio gli ospedali, dove vi sono diecimila posti vacanti da colmare. Come si può arrivare a tanto, ci si chiede, anche alla luce di quanto accaduto durante la pandemia, quando si mise in atto una vera e propria ricerca a tappeto di specialisti pneumologi e anestesisti per affrontare l’emergenza?
Anche i medici di famiglia, presidio territoriale d’eccellenza, risentono di gravi carenze: ne mancano infatti circa 4000. Ciò significa che milioni di italiani sono a rischio assistenza di base o sono costretti a scegliere un dottore che ha già la lista pazienti strapiena.
Quali sono le cause di questa débacle sanitaria?
La prima riguarda il tetto di spesa per le assunzioni. Da quindici anni le Regioni non possono spendere più di quanto fatto nel 2004. Il secondo motivo è l’assenza di programmazione del sistema formativo, che ha prodotto un collo di bottiglia a causa del quale si stanno formando pochi medici specialisti rispetto alle esigenze ospedaliere. In pratica, pochi investimenti e troppi tagli nella Sanità hanno determinato questa preoccupante situazione di emergenza.
Evidentemente, i politici italiani non hanno assimilato la dura lezione impartita dal Covid, che ci ha sorpresi impreparati e incapaci di reagire prontamente a tale terribile contagio. E sembra che si voglia proseguire su questa strada: molti camici bianchi nei pronto soccorso non riescono a andare in ferie o ad avere il riposo settimanale, i medici in servizio sulle ambulanze in 10 anni sono dimezzati, a causa del lavoro usurante e poco remunerato, molti concorsi banditi dalle Aziende sanitarie vengono disertati e troppi specialisti del settore pubblico abbandonano per passare alla sanità privata.
Occorre urgentemente invertire la rotta, destinando più fondi alla Sanità pubblica, specializzando più medici, evitando la fuga dei giovani dottori verso più accattivanti lidi esteri e ampliando il numero chiuso vigente in diverse università.
L’auspicio è che subito dal PNRR giungano risorse per rianimare quello che una volta era uno dei migliori servizi sanitari pubblici del mondo. La Sanità è già in prognosi riservata, si diceva all’inizio, cerchiamo ora di non sprofondarla nel coma depassè.
Fabrizio Scampoli