La guerra? E che sarà mai? Qualcosa che appare e scompare tra i feed dei social. E che mai potremmo fare? Abbiamo davvero delle responsabilità? Da uno a dieci quanto la senti distante la guerra?
Ho amici a Kyiv e, ora, li sento tutti i giorni. Potrei raccontarti di una giovane coppia con una bimba di un anno. Loro hanno colto il momento giusto, qualche giorno fa, e si sono spinti fin sù al confine polacco. Lì, lui ha salutato la moglie ed è tornato indietro, forse a combattere. Lei e la bambina sono arrivate a Cracovia e, da lì, in Germania, ora sono vicino Roma, ma lontane da tutta la famiglia e gli amici.
Potrei raccontarti di una ragazza che, nel giro di un giorno, ha visto costruire barricate sotto le sue finestre, lì dove c’erano prati verdi con margherite, altalene e panchine per fare chiacchiere.
L’entrata dei russi è sempre più imminente, mi dice, quella Z che vediamo sui carri armati (che dovrebbe significare «Za pobedu», «per la vittoria») è “sempre più grande”. Nastro adesivo pesante sui vetri delle finestre e un giaciglio per dormire in un ripostiglio interno senza finestre.
“Ti ricordi quella volta che…”, mi scrive in chat, “Mi piacerebbe tanto rivedere quei posti…”, mi dice aggiungendo un emoticon sognante. Ogni notte ci salutiamo come se… beh, sì, hai capito. Dice: “Potrebbe essere l’ultima”. “Ogni missile”, mi scrive, “potrebbe essere quello che entra nella nostra finestra”.
La mattina, appena sveglio, guardo le chat e le scorro ad una ad una. Vederli offline oppure con “ultimo accesso 5 ore fa”, mi inquieta, sì, hai capito il perché.
Potrei raccontarti di un’altra amica, una signora malata di cancro al terzo stadio, che pensa di rinunciare alle cure perché andare all’ospedale per un ciclo di chemioterapia è diventato più pericoloso che starsene a casa aspettando che il cancro ramifichi irreparabilmente dentro di lei. Oramai è così debole che, quando c’è un allarme bombardamento, non ce la fa neanche a raggiungere il rifugio antiaereo che si trova di fianco al palazzo. Resta a casa e che Dio gliela mandi buona, che il missile la risparmi.
Potrei raccontarti di una mia amica in piena carriera musicale – credimi, era gran bella musica quella che faceva, un misto di elettronica, tradizione ucraina e Björk – Ora lei dorme rannicchiata nella vasca da bagno all’undicesimo piano di un palazzone di 25, ex sovietico.
Il bagno – mi dice – è la stanza più ambita, perché senza finestre, quindi la più sicura. Dorme con una bacinella in testa, di quelle azzurre di plastica. Sai a cosa serve la bacinella? No, non è per farsi una fotografia divertente da far diventare virale sui social. Il suo compito è quello di evitare che le schegge dei vetri esplosi e ridotti in frantumi possano colpirla in testa nel cuore della notte, così si dorme più “tranquilli”, mi dice. Il missile questa volta potrebbe scegliere casa sua, ma magari prende il salotto o la camera e non il bagno. Potrei raccontarti del suo bimbo che mette un pupazzetto di Batman davanti alla finestra, petto in fuori e braccio che finisce col pugno come segno di forza, “Così ci protegge”, dice.
La guerra in tv ci sembra sempre così lontana, qualcosa che mai potrà toccarci realmente da vicino. Per noi, basterebbe spegnere la tv per far cessare la guerra, vero? Nelle nostre case calde e ovattate, non sentiamo le esplosioni, non riceviamo notifiche via app di imminenti attacchi aerei (sì, c’è un’app: orario e pallino rosso quando inizia e orario e pallino verde quando smette. Gli attacchi sono anche ogni dieci minuti).
La guerra ci sembra così lontana perché non ci scapicolliamo giù per le scale della stazione della metropolitana non appena udiamo le sirene antiaeree, non sentiamo l’odore pungente del cherosene misto a quello del pane appena sfornato o delle prime fioriture degli alberi, della plastica bruciata, non sentiamo il silenzio fuori dalle finestre in pieno giorno quando ti aspetteresti tutt’altro: un clacson felice, ad esempio o il vociare alto dei bambini o il campanello di una bicicletta.
Ma cosa succede quando la guerra ci entra in casa attraverso gli affetti, attraverso gli amici e i racconti delle persone care che abbiamo toccato, abbracciato, vissuto e con cui abbiamo riso? Quando irrompe nelle nostre case facendoci riscoprire fratelli e sorelle su questa terra?
È sera qui in Italia. Gli ultimi controlli ai social: foto di guerra, conferenze stampa, un panino gourmet, uno spot, una influencer semivestita che si tuffa in una piscina di lusso e poi di nuovo la guerra, panino gourmet, bla bla bla. Il display che si spegne e la testa che va sul cuscino.
Io mi sento responsabile. È facile vivere con gli occhi chiusi, penso. Mi sento responsabile per ogni volta che ho chiuso gli occhi davanti alle storture della politica, ogni volta che ho accettato giorno dopo giorno un meccanismo economico distorto e perverso della superproduzione, dello spreco e dell’elogio del superfluo, teso a creare tensioni nel mondo, a scalciare i poveri e i reietti negli angoli bui e a far luccicare i ricchi sui podi dei vincitori. Mi sento responsabile per ogni volta che ho visto le piccole sopraffazioni e non ho detto niente, ho chiuso gli occhi, ogni volta che non mi sono curato degli altri, troppo preso dall’ago, dall’io sempre più grande e ho chiuso gli occhi.
Mi sento responsabile ogni volta che guardo questa guerra in tv o sui social e mi sento scomodamente protetto. Protetto dalla vergogna di non essere lì, dove in fondo in fondo dovrei essere e dove forse sarebbe giusto che stia ogni essere umano responsabile, tra l’odore pungente del cherosene, gli allarmi antiaerei uno dopo l’altro e le bacinelle blu di plastica sopra la testa, così, per dormire un po’ più “tranquilli”, tanto c’è Batman alla finestra che ci difende.
Roberto De Ficis