“È saltato il banco”. Da circa una settimana è l’amaro commento che accomuna sindaci, amministratori, medici di base e semplici cittadini che per ruolo o per altre circostanze (la positività al virus in primis) toccano da vicino la gestione della pandemia da Covid-19.
Le avvisaglie si sono avute all’inizio del mese di dicembre. A lanciare qualche avvertimento a riguardo erano stati anche i sindaci del Vastese in occasione della conferenza stampa nell’aula consigliare di Vasto del 4 dicembre. I primi indizi sono state le lunghe code al drive-in (riattivato dopo un vivace botta e risposta tra il sindaco Francesco Menna e il direttore della Asl Lanciano Vasto Chieti Thomas Schael) e all’hub vaccinale sfociate in alcuni casi anche in risse. In quel momento il grosso dei contagi era localizzato in ambito scolastico e, fino a un mese prima, le persone che necessitavano del tampone molecolare dovevano recarsi fuori Vasto: scelta incoprensibile che fa il paio con quella di non aprire, in vista della terza dose, le sedi vaccinali previste negli altri Comuni (a San Salvo è stata riattivata poi solo lo scorso 20 dicembre).
La settimana cruciale, come prevedibile, è stata quella dopo Natale. A differenza dell’anno scorso, non c’è stata la zona rossa a vietare (o limitare fortemente) le occasioni di aggregazione in ambito pubblico e privato. Risultato: boom di nuovi casi (anche a causa della maggiore contagiosità della variante Omicron) e sistema di gestione in crisi. C’è da premettere che in questa fase è evidente l’apporto positivo dei vaccini (che ha evitato nuove chiusure). A fronte della netta maggioranza dei casi (dati riferiti al 5 gennaio 2021 e 2022), la pressione ospedaliera è molto ridotta rispetto a un anno fa: nel 2021 c’erano 11.094 positivi con 510 persone in ospedale (39 in terapia intensiva) e 10.584 a casa, quest’anno i positivi sono il triplo, 33.315, ma i ricoveri sono la metà, 250 (24 in terapia intensiva). In isolamento domiciliare ci sono oltre 33mila abruzzesi.
A complicare il quadro è arrivata il 29 dicembre la circolare della Regione – che ha stabilito la non necessità del molecolare di conferma ritenendo sufficiente la positività al tampone rapido – che ha cambiato le carte in tavola nel corso di quella stessa giornata con risultati grotteschi. Basta citare il caso di Lentella dove lo screening tenutosi nella mattinata di quello stesso giorno ha scoperto 7 positivi: mandati al drive-in di Vasto, sono stati rispediti indietro dopo ore di fila proprio in virtù della decisione della Regione. Il drive-in era uno dei colli di bottiglia emersi con l’esplosione dei casi: a Vasto si riversavano tutti i positivi all’antigenico del territorio. La dimensione del contagio è così apparsa subito nella sua interezza: si è passati da un incremento giornaliero di qualche centinaio di casi confermati al molecolare a incrementi di svariate migliaia (ieri oltre 5mila) al giorno e le crepe del sistema sono diventate ben più evidenti.
GLI SCREENING: “ARMATEVI E PARTITE” – Nella citata circolare della Regione la scelta era giustificata dall’incapacità di processare un così alto numero di molecolari (tralasciamo per ora il dibattito sull’affidabilità dei tamponi rapidi). La mossa successiva del presidente Marco Marsilio è stata l’ordinanza del 31 dicembre con la quale si ritarda il ritorno a scuola al 10 gennaio per permettere gli screening sulla popolazione scolastica per evitare ulteriori focolai post-feste. Nell’ordinanza si legge che la campagna di screening è disposta “demandandone le modalità organizzative alle ASSLL (aziende sanitarie locali, nda) della regione Abruzzo”.
Di ben altro tenore, invece, le lettere ricevute dai Comuni dalla Asl Lanciano Vasto Chieti che li invita “ad attivarsi al fine di organizzare degli screening di massa“. Un invito che ha tutta l’aria di un passaggio della palla, non una novità in questa pandemia. I sindaci per gli screening si stanno organizzando autonomamente, con non poche difficoltà, affidandosi a personale volontario (o in alcuni casi pagato con fondi comunali): la Asl dal canto suo non riesce a reperire il personale sufficiente per tutti i comuni e fornisce solo i tamponi (per lo più tramite protezione civile).
Per essere più chiari: i sindaci stanno reclutando parenti, amici e conoscenti di buona volontà in grado di eseguire i tamponi per assolvere all’ordinanza di Marsilio. Non tutti però ci riescono e qualche sindaco si dice già pronto a ritardare ulteriormente il ritorno a scuola disponendo la sospensione delle attività didattiche in presenza per evitare focolai. Un esempio potrebbe essere Gissi, Comune al quale non sono stati destinati tamponi per lo screening perché l’indice Rt è ancora basso, ma il sospetto è che il picco dei contagi qui è solo all’inizio e un test di massa potrebbe evitare un aumento vertiginoso dei casi (a ieri 47).
Nelle ultime ore, inoltre, sta emergendo anche la crisi dei tamponi non sufficienti a coprire le richieste. Ieri, ad esempio, a Lanciano ne sono stati tolti 6mila da distribuire ai Comuni sprovvisti. È arrivata nel primo pomeriggio di oggi, a tal proposito, la notizia della possibilità data ai Comuni di aderire agli screening di altri centri per la sola popolazione scolastica [LEGGI].
LA COMUNICAZIONE DELLE POSITIVITÀ – Altro aspetto a entrare in crisi è il sistema di comunicazione delle positività. Prima del 29 dicembre, dopo la conferma del molecolare, la positività veniva comunicata dalla Asl via Pec ai sindaci, quali massima autorità sanitaria locale. Ora molto è lasciato al buon senso dei cittadini. Le positività rilevate dalle farmacie vengono comunicate ai sindaci (sempre dall’azienda sanitaria) anche con due giorni di ritardo; i medici di base, inoltre, in molti casi, non stanno ricevendo comunicazioni sulla positività dei propri pazienti. I sindaci (e i medici di famiglia), soprattutto nei Comuni più piccoli dove c’è una conoscenza diretta, vengono spesso a conoscenza di tali casi dagli stessi positivi con giorni di anticipo rispetto alle comunicazioni ufficiali. In un quadro simile, con un numero così alto di positivi, il tracciamento dei contatti è pressoché impossibile (i dibattiti sull’app Immuni oggi sembrano lontani anni luce). Su quest’ultimo aspetto è stato di recente il presidente del Veneto, Zaia, a lanciare un chiaro allarme.
Da tale casistica poi restano fuori coloro che – a causa di sintomi o di contatti a rischio – decidono di acquistare i kit fai da te di tamponi rapidi scoprendo poi di essere positivi. In assenza di altri tamponi di conferma e buon senso (elemento che non di rado scarseggia), questi positivi sfuggono da qualsiasi conteggio ufficiale restando liberi da quarantene e isolamento.
PRIGIONIERI DEI RITARDI – A tale scenario vanno infine aggiunti i ritardi nella comunicazione dell’esito dei molecolari che dovrebbero accertare la raggiunta negatività e la riammissione in comunità: cittadini lasciati per giorni nel limbo dell’incertezza limitati dal green pass sospeso dopo la positività. Da giorni la nostra redazione riceve numerose segnalazioni di casi limite, ne citiamo due.
“Io e mio marito – ci scrive F.P. – abbiamo fatto il tampone molecolare al drive-in il 30 dicembre perché nostra figlia è positiva, lei lo ha fatto il 2 gennaio per controllare se si è negativizzata, ma ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta. È una situazione ridicola. Ho dovuto annullare la mia prenotazione per la terza dose a causa del ritardo della risposta e il mio Green Pass scade il 17 gennaio, per andare a lavoro sarò costretta a fare i tamponi in quanto la nuova prenotazione è per il 28 gennaio”.
Situazione simile per una famiglia dell’entroterra che si è sottoposta a molecolare il 29 dicembre per accertare la negatività e uscire dalla quarantena. Dopo infiniti giorni di attesa di una risposta, il 4 gennaio scorso, tutti i membri della famiglia si sono sottoposti a tampone rapido a pagamento. I referti attestanti la negatività sono stati inviati alla Asl che dopo varie insistenze, anche a muso duro, e qualche ora ha fornito i certificati di guarigione. Per la riattivazione del Green Pass, invece, bisognerà attendere ancora altri 2-3 giorni con il rischio per uno dei famigliari di dover saltare un importante convegno di lavoro fuori regione: “Se mi avessero detto già il primo o 2 gennaio di procedere autonomamente, l’avrei fatto, invece se non avessi preso io l’iniziativa, starei qui ancora ad aspettare”.