La via d’uscita dal tunnel della riforma taglia tribunali è stretta. Ad oggi, le sedi giudiziarie di Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona non hanno alcuna certezza di ottenere almeno una proroga che scongiuri la chiusura, fissata per settembre.
Di proroga in proroga, la vita dei tribunali subprovinciali abruzzesi si è allungata di dieci anni. Mai come stavolta, però, rischia di materializzarsi il fantasma della soppressione prevista dalla legge Severino per gli uffici giudiziari minori. Dopo il fallito tentativo di luglio, quando la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, si è rifiutata di mettere ai voti l’emendamento salva tribunali [LEGGI], la speranza si chiama, ancora una volta, decreto Milleproroghe.
Il problema è che il testo varato governo non prevede la norma attesa dal mondo giudiziario abruzzese. Il filo della speranza è legato allora agli emendamenti: proposte di modifica da presentare quando le Camere saranno chiamate a convertire in legge il decreto governativo. Il 20 dicembre l’annuncio di Marco Marsilio, presidente della Regione Abruzzo: presto un incontro con Marta Cartabia, ministra della Giustizia, nel tentativo di convincerla a sostenere la causa dei quattro palazzi di giustizia abruzzesi.
Un atto politico già esiste. Infatti la Camera dei deputati il proprio orientamento lo ha espresso il 30 dicembre approvando un ordine del giorno che impegna l’esecutivo presieduto da Mario Draghi a riconsiderare la situazione dei tribunali di Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona.
Visti i precedenti, restano i dubbi su quanto questo documento possa condizionare le scelte del governo: “Anche a luglio – ricorda Vittorio Melone, presidente dell’Ordine degli avvocati di Vasto – era stato approvato un ordine del giorno, allora presentato dall’onorevole Carmela Grippa, ma poi il successivo emendamento è stato bloccato dalla presidenza del Senato. Gli ordini del giorno sono buone intenzioni, però dobbiamo prendere atto che noi nel Milleproroghe non ci siamo”. Inoltre rimane “il problema dell’incapacità delle sedi accorpanti (Chieti e L’Aquila, n.d.r.) di acquisire fisicamente le sedi da accorpare con modalità veloci e in modo poco impattante sugli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ossia eliminare entro il 2026 il 90 per cento dell’arretrato e ridurre del 40 per cento sia i tempi del processo civile che di quello penale. Il nostro distretto, che è un distretto virtuoso, deve addirittura fare di più del lavoro attuale, perché i grandi tribunali hanno invece delle croniche situazioni di inefficienza, perciò devono essere aiutati dai distretti virtuosi, come quello dell’Aquila. Per cui, paradossalmente, per raggiungere l’obiettivo che consentirà di avere per tutta l’Italia finanziamenti legati al Pnrr, dobbiamo raggiungere questi obiettivi in materia di giustizia”.
“Non ci si vuole rendere conto che la riforma del 2012 avveniva con una diversa situazione della giurisdizione italiana. Ci avviamo verso una serie di novità, come l’ampliamento delle competenze dei giudici di pace, che saranno superiori a quelle delle vecchie preture, per cui sembra impossibile pensare che accanto ad essi non operi anche una procura, e l’istituzione dei tribunali della persona, dei minori e della famiglia presso ogni tribunale circondariale. Si stanno smaltellando le nostre realtà – sostiene Melone – attraverso decisioni che non coincidono con quello che sta per avvenire. Ad oggi, tanto i presidenti dei tribunali accorpanti quanto i presidenti dei tribunali da accorpare non hanno idea di cosa dovrà avvenire a settembre del 2022. E questo non è normale in una nazione in cui lo stato di diritto ha un minimo di considerazione. Certe situazioni non si possono risolvere con gli slogan”.