Tutta la vita in due valigie per ricominciare da zero compiendo il percorso inverso dei propri avi. È la storia di Carlos, Carol, Valeria e Patricia, famiglia italo venezuelana arrivata a Lentella a fine ottobre. Il loro primo Natale in Italia ha un gusto particolare, quello della rinascita e della speranza dopo essersi lasciati alle spalle le dure condizioni di vita nel loro Paese in Sud America.
Il papà di Carol, Bruno Vinciguerra, emigrò in Venezuela dopo la seconda guerra mondiale; di Carlos, invece, furono i bisnonni, da Veneto ed Emilia Romagna, a trasferirvisi. Non è stata una scelta facile affrontare il viaggio inverso, dettata da diversi motivi e che ha incontrato qui in Italia la solidarietà di un paese intero.
La famiglia Fachin viveva a Valencia, terza città del Venezuela con un milione e mezzo di abitanti, le condizioni generali, racconta, sono iniziate a peggiorare dopo l’avvento di Hugo Chávez: “Ha vinto con grandi aspettative nel popolo, prometteva condizioni uguali per tutti, ma non è stato così. Con il passare degli anni, lentamente, si è passati a un vero e proprio regime. La situazione si è ulteriormente aggravata dopo la morte di Chávez, sostituito da Maduro”.
Com’è oggi la vita in Venezuela?
Non si può vivere perché non c’è sicurezza a causa della diffusa corruzione, del narcotraffico e della guerriglia. Non c’è sanità, l’energia elettrica manca per giorni e giorni così come l’acqua (quando c’è, è sporca), non c’è carburante per le auto. Ieri ho chiamato mia madre che è ancora lì e mi ha detto che erano senza luce da dodici ore. Le fabbriche sono chiuse, le principali case automobilistiche hanno deciso di andare via e non c’è lavoro.
Chi non è dalla parte del regime non ha vita facile, anche l’informazione è bloccata e numerose rivolte di giovani e studenti sono state represse nel sangue. Oppositori, giornalisti ecc. spariscono in carcere.
Com’è maturata la decisione di venire in Italia?
La decisione l’abbiamo presa dopo che mi hanno diagnosticato la leucemia (a parlare è Carol, nda). Il medico mi ha detto ‘Qui non c’è niente per te, se hai la possibilità di andare in Italia, vai’. Per curarmi lì avrei avuto bisogno di 10mila dollari al mese. Ho così parlato con Nina Moro, amica di infanzia di Lentella dove, da bambina, tornavo regolarmente con i miei genitori, e mi ha convinto… grazie a lei oggi siamo qui; è stata lei la persona che ci ha dato la forza e il coraggio.
Siamo andati via per la mia salute e perché per le nostre figlie non c’era futuro. Gli amici della nostra figlia più grande sono andati tutti via (in Usa, Argentina, Spagna ecc.) dopo gli studi per questo motivo.
È stato facile lasciare il Venezuela?
Non è così semplice andare via dal Paese. Noi siamo riusciti a venire perché io e le nostre due figlie abbiamo la cittadinanza italiana. Carlos ha il permesso di soggiorno, ma sta cercando di rintracciare i documenti dei suoi avi per ottenere anch’egli la cittadinanza.
Dopo aver messo a posto i documenti, abbiamo venduto le nostre due auto, comprato i biglietti, chiuso gli occhi e via, siamo partiti con due valigie per ognuno… Tutta una vita in due valigie.
Dal Venezuela, dopo 12 ore di volo, le 12 ore più belle della nostra vita, abbiamo fatto scalo a Instanbul e poi da lì siamo arrivati a Roma.
Da qui è iniziata la vostra nuova vita…
Il 30 ottobre siamo arrivati a Lentella, abbiamo passato dieci giorni in quarantena in un piano della casa della nostra amica Nina e poi siamo venuti qui, in questa casa. È stato un momento molto commovente che non si può immaginare… ci hanno trovato tutto: questa casa senza pagare, da mangiare, le lenzuola, i piatti, il pellet e la legna, i soldi. Ci hanno dato qualcosa per l’inverno perché in Venezuela abbiamo sempre 20-22 gradi e non avevamo vestiti pesanti. È indescrivibile quello che hanno fatto per noi, tutto il paese ci ha aiutato; anche Marco, il sindaco, ci ha dato piena disponibilità. Ancora oggi ci chiamano per offrirci verdura e altro… avevamo solo due valigie e abbiamo trovato tutto, non sappiamo come poterli ringraziare un giorno.
Patricia, la più piccola, va già a scuola, frequenta la seconda media a Fresagrandinaria, ha gli amici e può uscire in tranquillità. Inizialmente Carlos era preoccupato perché a Valencia alle 18 già non si usciva più perché era pericoloso.
La tranquillità e la libertà valgono moltissimo, se non si è provato a non averle, non si può capire cosa significa avere una vita “normale”, avere l’acqua, l’energia elettrica, mangiare…
Che Natale è questo per voi?
Abbiamo cucinato a casa di Nina, abbiamo mangiato insieme. Le nostre figlie hanno appuntamento per uscire, siamo andati in chiesa alla messa della notte della vigilia: tutte cose che sembrano scontate ma non lo sono.
Per noi è un Natale di tranquillità, di speranza e di felicità. L’unica infelicità, l’unico pensiero è che i miei (mia madre, un fratello che è nato a Vasto, e una sorella) stanno lì e non ancora possono tornare; se non fosse per questo, saremmo ancora più tranquilli e felici.
Siamo agli sgoccioli del 2021, cosa vi augurate per il nuovo anno?
L’unico desiderio per il 2022 è il lavoro per Carlos. Lui era ingegnere meccanico in una fabbrica di auto. Quando comincerà a lavorare staremo meglio, sta imparando l’italiano. Operaio, spazzino, va bene qualsiasi cosa, l’importante è iniziare. Valeria è già pasticcera e chef, stava studiando all’università, ma è stata chiusa. Ora anche lei cerca lavoro, ma l’obiettivo è tornare a studiare.
Questi sono i nostri progetti, progredire piano piano così come hanno fatto tanti anni fa i nostri antenati.